Il Pontefice ha parlato del caso dei gesuiti sequestrati e imprigionati nel 1976 dai militari e del tentativo di coinvolgerlo nella vicenda
ROMA - Sono emerse in queste ore parti del discorso pronunciato da Papa Francesco, durante l'incontro con 32 gesuiti, avvenuto nel corso del recente viaggio apostolico in Ungheria, lo scorso 29 aprile.
In quell’occasione il Pontefice ha risposto a diverse domande, raccontando anche fatti risalenti agli anni della dittatura in Argentina. Nello specifico, nel 2010 l'allora arcivescovo di Buenos Aires Bergoglio era stato chiamato a testimoniare, di fronte a tre giudici, relativamente al suo rapporto con i sacerdoti Orlando Yorio e Ferenc Jalics, sequestrati nel 1976 e accusati dai militari di avere legami con la guerriglia. All'epoca dei fatti Papa Francesco, che era superiore provinciale dei gesuiti, venne anche accusato da un giornalista, legato al kirchnerismo, di aver egli stesso "consegnato" i due religiosi al regime.
Con questa azione legale, «alcuni nel governo volevano "tagliarmi la testa" - ha detto Papa Francesco ai gesuiti il mese scorso, come riporta il direttore di Civiltà Cattolica, padre Antonio Spadaro - Non hanno sollevato tanto la questione di Jálics, ma piuttosto hanno messo in discussione tutto il mio modo di agire durante la dittatura. Alla fine, la mia innocenza è stata dimostrata. Ma in quel processo non si disse quasi nulla di Jálics». Bergoglio - come chiarisce El Pais - spiegò ai giudici di aver, al contrario delle accuse, interceduto con il dittatore Jorge Rafael Videla e il suo vice, l'ammiraglio Eduardo Massera, per la vita dei sacerdoti.
In effetti - sempre secondo il quotidiano spagnolo - il Pontefice ha raccontato che l'allora governo di Cristina Kirchner (presidente della Repubblica argentina dal 2007 al 2015) aveva cercato di farlo condannare "istruendo" i tre giudici per i fatti avventi negli anni tra il 1976 e il1989.
«Ho rivisto qui, a Roma, da Papa, due dei giudici - dice ancora il Papa, ripreso da Civiltà Cattolica - Uno di loro insieme a un gruppo di argentini. Non l'avevo riconosciuto, ma avevo avuto l'impressione di averlo visto. L'ho guardato e riguardato e mi sono detto: "Questo lo conosco". Mi ha abbracciato e se n'è andato. L'ho visto ancora una volta e si è presentato. Gli ho detto: "Merito di essere punito cento volte, ma non per questo". Sì, merito di essere giudicato per i miei peccati, ma su questo punto voglio essere chiaro. Venne anche un altro dei tre giudici, e mi disse chiaramente che avevano ricevuto istruzioni dal governo per condannarmi».