L'ex presidente ha quattro giorni di tempo per riferire al Grand Jury.
WASHINGTON - Donald Trump, frontrunner repubblicano nella corsa alla Casa Bianca, è sotto inchiesta anche per l'assalto al Capitol. È stato lui stesso a rivelare sul suo social Truth di aver ricevuto domenica sera dal procuratore speciale Jack Smith una lettera nella quale si afferma che è un target dell'indagine sull'attacco del 6 gennaio 2021 e gli vengono dati «solo» 4 giorni per presentarsi davanti al gran giurì, «cosa che quasi sempre significa arresto e incriminazione».
In effetti è così: la lettera equivale a un avviso di garanzia e prelude nella maggior parte dei casi all'incriminazione formale. Come accaduto il mese scorso nell'altra inchiesta dello special counsel, quella sulle carte segrete di Mar-a-Lago, la cui gestione durante il futuro processo è stata discussa proprio oggi in un'udienza in Florida.
Trump e i suoi legali non hanno ancora risposto alla lettera ma si prevede che the Donald non si presenti entro la scadenza di mercoledì. Nel frattempo ha già lanciato i suoi strali contro Joe Biden, il suo ministro della Giustizia Merrick Garland e il «pazzo» Jack Smith, accusandoli di aver incriminato tre volte «il rivale politico numero uno» del presidente, «con una probabile quarta in arrivo da Atlanta»: un riferimento all'indagine sulle sue pressioni nel 2020 per trovare gli 11.780 voti necessari per scavalcare Biden in Georgia, ribaltando l'esito del voto.
Per Trump si tratta di una «caccia alle streghe», di una nuova «interferenza elettorale», di un «uso della giustizia come arma politica», una cosa che «non è mai capitata prima nel nostro Paese». L'obiettivo, accusa, è quello di far fuori per via giudiziaria il quasi certo nominee repubblicano, «di gran lunga davanti anche a Biden nei sondaggi».
L'ultimo sviluppo conferma che intorno a Trump si sta stringendo una vera e propria morsa giudiziaria che rischia di vederlo alla sbarra in più processi nei prossimi mesi, compreso il periodo cruciale delle primarie: in ottobre a New York per le presunte frodi della sua Trump Organization, in gennaio per la seconda causa civile della scrittrice Jean Carroll (aggressione sessuale e diffamazione) e in marzo per i falsi pagamenti aziendali in cambio del silenzio (elettorale) di due pornostar. In attesa che venga fissata la data del processo per le carte di Mar-a-Lago e delle conclusioni dell'indagine in Georgia e sul 6 gennaio.
Quest'ultima rischia di essere una delle più devastanti e imbarazzanti per il tycoon, anche se non si conoscono ancora le accuse. Ma gli investigatori hanno gettato una rete ampia sui tentativi di Trump e dei suoi alleati per bloccare il legittimo trasferimento dei poteri con la tesi delle «elezioni rubate»: dai falsi elettori negli Stati in bilico al drammatico attacco al Capitol da parte dei fan che lui stesso aveva istigato in un comizio incendiario.
Oltre mille persone sono già state incriminate e condannate, anche pesantemente. E una commissione parlamentare d'inchiesta, controllata dai dem, aveva concluso che Trump aveva ispirato un'insurrezione e che dovrebbe essere «bandito» da qualsiasi incarico pubblico «in futuro». The Donald ha rivendicato di avere «il diritto di contestare un'elezione che sono pienamente convinto sia stata truccata e rubata». Ma sarà difficile fare campagna elettorale con il marchio dell'eversore, soprattutto se verrà accertato che mentiva ad arte.
L'unica sua speranza sembra quella di vincere le elezioni per graziare se stesso e ordinare al suo ministro della Giustizia di far cadere le accuse ancora in piedi.