Alcune centinaia di persone hanno manifestato, chiedendo verità e giustizia
BEIRUT - «Quel giorno ci hanno ucciso nelle nostre stesse case, ma da tre anni ci uccidono ogni giorno»: con la voce rotta Paul Najjar, libanese, padre di una delle più giovani vittime della devastante esplosione del porto di Beirut, il 4 agosto del 2020, ha espresso la rabbia di un intero paese.
Rabbia per l'assenza di verità giudiziaria e politica sulla tragedia che tre anni fa uccise circa 246 persone, ferito altre 6000, e costretto un terzo degli abitanti della capitale libanese ad abbandonare le loro case: distrutte o danneggiate dall'onda d'urto di quella che è stata definita come una delle dieci più potenti esplosioni non nucleari della storia.
L'inchiesta - Da allora a oggi, gli inquirenti sono riusciti soltanto ad appurare che i vertici istituzionali e di sicurezza del Libano erano al corrente, dal 2013, della presenza delle 2750 tonnellate di nitrato di ammonio, materiale altamente esplosivo, nel porto di Beirut, a due passi dal cuore abitato della popolosa città.
L'inchiesta giudiziaria, guidata dal giudice Tareq Bitar, è di fatto bloccata da più di un anno da una serie di ostacoli burocratici, istituzionali e politici eretti proprio dal cartello di ex signori della guerra civile libanese (1975-1990), promossi nel corso degli ultimi tre decenni a esponenti istituzionali, riconosciuti e legittimati ancora oggi dalla comunità internazionale.
La manifestazione - Sulla terrazza che si affaccia sul porto - da alcuni mesi tornato «pienamente operativo» secondo il governo dimissionario libanese - si sono radunate oggi centinaia di persone, per lo più familiari delle vittime e attivisti della società civile. Su un muro da due anni campeggia eloquente la scritta: «Il mio Stato ha fatto questo».
Ci si aspettava una maggiore partecipazione popolare alla commemorazione odierna. «Continueremo a manifestare fino all'ultimo spiraglio di speranza», ha detto Paul, padre della giovanissima Alexandra. "Senza giustizia non esiste patria, non esiste paese", ha aggiunto.
Il raduno è cominciato con una cerimonia alla vicina caserma dei pompieri di Karantina, uno dei quartieri più colpiti e da dove era partito il camion dei pompieri, chiamato al porto quel 4 agosto per spegnere quello che sembrava essere un incendio ordinario divampato al capannone numero 12.
Da Karantina al porto la strada è breve. E prima di osservare un minuto di silenzio, i manifestanti hanno intonato cori contro la classe politica, chiedendo giustizia. Tra loro anche Monika Borgmann, moglie tedesca dell'editore, attivista e scrittore libanese Lokman Slim, assassinato in circostanze poco chiare nel febbraio del 2021 e che stava indagando proprio sulla vicenda della presenza del nitrato di ammonio nell'hangar del porto. «Sono passati tre anni e niente si muove (...), è incredibile», ha detto la vedova di Slim.