L'ex presidente la rivendica, il giudice Thomas si è rifiutato di ricusarsi
WASHINGTON - È iniziata alla Corte suprema americana la battaglia legale tra accusa e difesa sull'immunità presidenziale rivendicata da Donald Trump nel processo federale per i suoi tentativi di ribaltare a suo favore il voto del 2020, culminati nel tragico assalto al Campidoglio.
Nell'udienza Clarence Thomas, uno dei nove giudici della Corte suprema, si è rifiutato di ricusarsi per il ruolo di sua moglie Ginni, attivista pro-Trump coinvolta nel tentativo di stravolgere l'esito del voto del 2020.
L'iter - I nove giudici ascolteranno gli argomenti delle parti ma non decideranno prima di giugno. L'eventuale dibattimento quindi potrebbe iniziare al più presto a fine estate, ma difficilmente si concluderebbe prima dell'election day del 5 novembre.
La difesa - La difesa sostiene la tesi dell'immunità assoluta del presidente, a meno che non sia stato condannato in un impeachment (mentre il tycoon è stato assolto in quello per l'attacco al Congresso). Gli avvocati di Trump ritengono inoltre che la sentenza del 1982 sull'immunità dalla responsabilità civile dell'ex presidente Richard Nixon vada estesa anche alla responsabilità penale.
Il procuratore speciale - «Nessuno è al di sopra della legge», sostiene invece il procuratore speciale Jack Smith, secondo cui se un presidente fosse totalmente immune potrebbe anche ordinare di uccidere un oppositore politico senza essere perseguito. Smith inoltre osserva che la grazia concessa a Nixon per il Watergate dopo aver lasciato l'incarico è la prova che i precedenti presidenti erano consapevoli di essere esposti ad accuse penali.
Quanto all'immunità in caso di assoluzione dalla messa in stato d'accusa, Smith nota che un presidente potrebbe commettere reati a fine mandato o dimettersi prima di essere condannato in un impeachment.
Una delle questioni all'esame è se Trump abbia agito nel suo ruolo di presidente o di candidato e se si trattasse di atti ufficiali o politici per fini personali.