La Sardegna ha dichiarato lo stato di emergenza, il presidente siciliano vuole poteri in deroga, «modello Genova»
CAGLIARI - Fino al 31 dicembre in Sardegna sarà in vigore lo stato di emergenza, a causa della grave siccità che sta colpendo l'isola italiana. Il provvedimento è stato varato martedì dall'esecutivo regionale e verrà integrato da una serie di provvedimenti che, ha spiegato la presidente Alessandra Todde, serviranno a ripartire i fondi necessari ai vari enti.
Le misure - «Sulla base delle informazioni e dei dati, anche climatologici, disponibili e delle analisi prodotte dai competenti uffici, che identificano uno scenario in atto che può evolvere in una condizione emergenziale, e allo scopo di assicurare maggiore efficacia operativa e di intervento in relazione al rischio derivante da deficit idrico, vi è l'urgenza di ricorrere a prime e immediate misure di mitigazione del rischio volte a contenere gli effetti della crisi idrica in atto, che richiedono l'attivazione di procedure straordinarie come quella della dichiarazione dello stato di emergenza» ha dichiarato Todde.
La Sardegna sta facendo i conti in questi giorni con alte temperature che favoriscono lo scatenarsi degli incendi, come quelli che hanno devastato 800 ettari di terreno nel Nuorese e hanno richiesto l'intervento di un ingente dispiegamento di uomini e mezzi dei Vigili del Fuoco.
Schifani chiede «poteri in deroga» - Le cose non vanno meglio in Sicilia. Il presidente della Regione, Renato Schifani, ha dichiarato la sua volontà di chiedere al governo «dei poteri in deroga, modello Genova, altrimenti rischiamo di non potere riattivare i tre grandi dissalatori, Porto Empedocle, Gela e Trapani, che 14 anni fa furono disattivati dalla politica». Schifani ha preso le distanze dal suo predecessore, Nello Musumeci, attuale ministro della Protezione civile. «Non voglio fare polemica con chi mi ha preceduto. Dico solo che ho trovato una situazione disastrosa. Per cui, non escludo che in passato si siano fatti dei progetti e degli stanziamenti, ma non trovo né laghetti né nulla. Trovo un territorio dove alcune dighe sono completate ma non collaudate, alcune dighe non sono mai state pulite e gli ultimi 10 metri sono composti da sabbia».
«Figlia della siccità del Po» - Qualcuno definisce la siccità che sta attanagliando l'isola, più ancora che come un'emergenza, come una vera e propria piaga biblica. Intanto gli ambientalisti di Legambiente, che hanno compiuto un blitz sul lago di Pergusa, tuonano: «Quanto sta accadendo in Sicilia è l’ennesima cronaca di un’emergenza annunciata rimasta inascoltata». La situazione attuale «è figlia della siccità del Po del 2022 e di un trend collegato alla crisi climatica, in continua evoluzione e a cui in questi anni non sono seguiti interventi strutturati nella gestione della risorsa idrica che avrebbero potuto fare la differenza per contrastare oggi il problema».
Basta provvedimenti tampone - Le scarse precipitazioni registrate tra luglio e dicembre dello scorso anno «avrebbero dovuto essere un campanello di allarme per mettere in campo misure appropriate già da allora. Adesso, a pagarne lo scotto, sono i cittadini, i territori, l’ambiente e la biodiversità, senza contare i danni all’economia e all’agricoltura. L’anno prossimo a chi toccherà?». Legambiente chiede al governo Meloni di non ricorrere più a «soluzioni tampone spesso inappropriate, come le ordinanze di razionamento dell’acqua, la trivellazione di nuovi pozzi, il ricorso smisurato a nuovi dissalatori e nuovi invasi». La strada giusta da seguire è quella di creare nuovi depuratori e reti fognarie, completare il piano di messa in esercizio delle dighe e un ammodernamento della rete idrica, segnata al Sud da perdite medie del 51% dell'acqua trasportata.