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ITALIA«Mi sentivo oppresso, un corpo estraneo», così il 17enne ha ucciso la sua famiglia

02.09.24 - 09:59
Il giovane ha confessato ieri di avere ucciso padre, madre e fratellino di 12 anni. Ha parlato di «malessere», «disagio» e «solitudine».
Imago/AbacaPress
«Mi sentivo oppresso, un corpo estraneo», così il 17enne ha ucciso la sua famiglia
Il giovane ha confessato ieri di avere ucciso padre, madre e fratellino di 12 anni. Ha parlato di «malessere», «disagio» e «solitudine».

MILANO - Sono circa le due di notte quando Riccardo - così si chiama il reo confesso della strage di Paderno Dugnano - sorprende nel sonno il fratellino di 12 anni. Lo colpisce con un grosso coltello da cucina, uno, due, fino a una decina di volte. I genitori sentono i rumori e raggiungono la cameretta del piccolo di casa. Ma lì c'è qualcosa che mai nessuno avrebbe potuto immaginare. Il loro figlio primogenito li sorprende con un coltello: prima la mamma, negoziante di 49 anni, che verrà ritrovata vicino al corpo del 12enne. Stesso tragico copione spetta poi al padre (imprenditore edile di 51 anni), che poche ore prima aveva festeggiato il suo compleanno con la sua famiglia. Quella che adesso non c'è più. Portata via da un raptus omicida scattato nella villetta di famiglia, tra l'una e le due di sabato notte.

Poi inizia la messinscena. Compiuta la mattanza, il 17enne chiama il numero di emergenza: «Ho ucciso mio papà, venite». Dopo la drammatica telefonata, i sanitari lo troveranno fuori casa seminudo, con le braccia coperte di sangue e il coltello. Arma del delitto che, come racconta un giovane testimone, nonché vicino di casa, resterà in strada «vicino al cancelletto, lì per terra». Sul posto anche i carabinieri del comando provinciale di Milano: davanti a loro una famiglia, con indosso l'abbigliamento da notte, finita a coltellate. Unico superstite dunque è il primogenito, che ha dato l'allarme e che verrà poi accompagnato in caserma per essere ascoltato, fino alla confessione, arrivata nel pomeriggio di domenica.

Riccardo crolla, non è vero quello che fino a quel momento aveva provato a sostenere. E cioè che nella notte aveva visto il padre seduto su una sedia, all'interno della cameretta del fratellino più piccolo, con accanto il coltello e i corpi dei suoi familiari e che solo a quel punto aveva preso l'arma e pugnalato il genitore. Tra le lacrime confessa: «Li ho uccisi io». Sono i media italiani a diffondere gli stralci delle sue parole. Il primogenito spiega che sabato sera non era successo niente di particolare ma quella della strage «era una cosa che covavo», senza una ragione precisa». Anche se lo studente all’ultimo anno del liceo scientifico racconta di aver vissuto «un disagio», un «malessere», di sentirsi «un corpo estraneo all'interno della famiglia»: «Mi sentivo oppresso». Fino a pensare di poterne uscire uccidendo. Per poi capire che «non era uccidendoli che mi sarei liberato». Questa la sintesi di quanto ha riferito davanti alla pm e al procuratore capo di Monza, ai quali ha provato a comunicare la propria sensazione di solitudine, anche in mezzo agli altri. Ma saranno le perizie di psichiatri e psicologi a capirne di più, mentre un vero e proprio movente sembra non esserci.

L'ultimo atto della tragedia si compie dopo le 17 di ieri (domenica), quando le gazzelle dei carabinieri scorteranno il giovane reo confesso pluriomicida dalla caserma al carcere Cesare Beccaria per Minorenni di Milano. Finisce così, seduto sull'auto dei militari dell'Arma, nascondendosi il viso dietro a una mano, il fine settimana di follia di uno studente di buona famiglia, studioso, con una fidanzatina e la passione per la pallavolo.

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