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GUERRA IN UCRAINAL'incontro con i prigionieri russi. «Ci dissero: "Gli ucraini vi taglieranno la testa". Non è andata così»

06.09.24 - 00:00
Li abbiamo incontrati in una cella sotterranea nell'oblast di Sumy. Il 20enne Sergey: «Io in guerra per uscire di prigione»
20min
Fonte Ann Guenter
L'incontro con i prigionieri russi. «Ci dissero: "Gli ucraini vi taglieranno la testa". Non è andata così»
Li abbiamo incontrati in una cella sotterranea nell'oblast di Sumy. Il 20enne Sergey: «Io in guerra per uscire di prigione»

SUMY - La sfortuna di Sumy è che si trova a soli 40 chilometri dal confine russo. Città industriale dell'Ucraina dove l’allarme missilistico suona ormai quasi ogni ora. E le notizie che porta non sono mai buone: l’arrivo di missili ipersonici Kinschal, S-30, da crociera Kalibur o di droni iraniani Shahed. «È come se Mosca adesso ci stesse punendo a causa di Kursk», dicono in molti qui, riferendosi all’offensiva ucraina in territorio russo.

Ironia della sorte, a sembrare più al sicuro nell’oblast sono i prigionieri di guerra russi. Sono all'interno di celle sotterranee che in precedenza fungevano da rifugi antiaerei. Da qui, dopo una o due settimane verranno distribuiti nei diversi campi del paese, in attesa di uno scambio con Mosca. Ma nella stessa sezione «abbiamo incarcerati anche criminali ucraini, quindi non possono rimanere qui a lungo», ci spiega Alexei, direttore della prigione.

Che poi aggiunge, «nei primi giorni dell'operazione di Kursk sono arrivati qui tra i 50 e i 60 prigionieri di guerra, ma ora sono meno». Dopo la loro cattura, i prigionieri russi vengono controllati, ricevono assistenza medica, psicologica e gli vengono dati abiti civili. Indossano pantaloni, magliette o camicie; ricevono cibo tre volte al giorno.

Il 70% sono reclute inesperte - «La Croce Rossa - continua il direttore - viene regolarmente e si assicura che rispettiamo le linee guida internazionali». Secondo Alexei, il 70% dei prigionieri di guerra sono reclute di leva inesperte, che si arrendono rapidamente di fronte all'avanzata ucraina. Il resto è costituito da ufficiali, per lo più di grado medio. Il gruppo più recente arrivato qui è stato catturato in Russia il 12 agosto.

20 anni e uno sguardo da bambino - Raggiungiamo il seminterrato, le celle stanno dietro pesanti porte di ferro. Incontriamo Sergej, russo di 20 anni e uno sguardo da bambino. È il più giovane dei suoi 13 compagni di prigione ed è stato scelto dal gruppo per parlare con noi. «È la nostra star», dice uno e tutti ridono. Il giovane non è una recluta che ha scelto il fronte per sfuggire alla prigione in Patria.

In Russia Sergej si trovava a scontare una pena detentiva per frode: ha accettato di andare in guerra contro l'Ucraina in cambio della grazia. «Oltre alla pena carceraria c'è stato anche il risarcimento dei danni causati, ovvero ben 40 milioni di rubli (l'equivalente di oltre 380.000 franchi, ndr). Mi sono reso conto che non sarei mai riuscito a ripagare i soldi. Così ho deciso di provarci».

Ancor prima che il tribunale emettesse il verdetto di colpevolezza contro di lui - Sergej si aspettava dieci anni di prigione - il ragazzo era già in viaggio per il fronte. «Sono stato catturato in un villaggio chiamato Malaya Loknya», racconta. «Eravamo circondati dalle truppe ucraine quando un drone ha lanciato una granata. Sono stato ferito a un piede, poi mi hanno catturato e sono stato curato: sto abbastanza bene».

«Non c'è odio, né rabbia» - Con la prigionia, il 20enne ha cambiato il proprio giudizio sul nemico. «Non ho incontrato un solo nazista qui - dice -. Nell'atteggiamento degli ucraini non ho visto né odio, né rabbia. Non è stato come ci avevano detto, che ci avrebbero tagliato la testa».

Ha le idee chiare sul proprio destino: sarà oggetto di scambio tra prigionieri. E questo è un bene, in fondo la sua vita è in Russia. Ma non vuole più tornare in guerra, quindi dice di voler tornare in prigione, perché «dopo questa esperienza non posso più combattere contro l'esercito ucraino». Ma sarà difficile non sprofondare nuovamente nell'incubo di una guerra, che non vede una fine.


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