Gino Cecchettin ha lasciato l'aula dove è in corso il processo per l'assassinio della figlia Giulia
VENEZIA - Gino Cecchettin ha lasciato il tribunale di Venezia durante una delle pause del processo che vede Filippo Turetta imputato per l'omicidio di sua figlia, Giulia.
«Ho provato molto dolore e il momento più doloroso è stato sapere cosa ha attraversato mia figlia negli ultimi momenti della sua vita» ha dichiarato Cecchettin ai moltissimi giornalisti presenti. «Ora vado via, non ho bisogno di restare. Il punto è che abbiamo capito chi è Filippo Turetta. Per me è chiarissimo, quello che emerge oggi è che la vita del prossimo è una cosa sacra e non bisogna entrare nel merito della vita degli altri, ma rispettarla».
L'avvocato della famiglia Cecchettin, Nicodemo Gentile, è stato ancora più duro. «Non ha avuto nessuna pietà per Giulia, una crudeltà enorme, un inferno che è durato tempi lunghissimi per un motivo futile e abietto, perché non voleva tornare con lui. Nel 2024 purtroppo assistiamo ancora a questo tipo di omicidio». Turetta non starebbe dicendo tutta la verità, secondo le parti civili. «Le parole di Turetta hanno il tintinnio delle monete false, è in difficoltà, ha una memoria selettiva e non riesce a giustificare tante cose. Questo esame è un atto autolesionistico, non sta chiarendo nulla».
Nei suoi ultimi interventi in aula prima della pausa Turetta ha detto di essere entrato in azione quando ha sentito di «aver perso per sempre la possibilità di tornare insieme. Non avere più un rapporto, ho percepito questo: di perdere la possibilità di un rapporto». Poi ha ripercorso il momento del delitto. «Ho preso il coltello dalla macchina e l'ho rincorsa (Giulia, ndr) dopo che lei è uscita, l'ho raggiunta, poi devo averla spinta o tirata. Lei è caduta e la devo aver colpita con il coltello. Le ho tirato degli strattoni e ha sbattuto la testa sul pavimento e poi l'ho spinta in macchina». Quando ha abbandonato il cadavere, a decine di chilometri di distanza, si è accertato che fosse coperto. «Volevo sapere che lei non c'era più, ma senza vedere come, sono immagini brutte».
L'arma del delitto? Se n'è disfatto presto. «In macchina avevo preso il cellulare di Giulia per allontanarlo da lei, per spegnerlo insomma. Poi, dopo Fossò, l'ho buttato dal finestrino, assiemeal coltello, mi pare in un fossato, un piccolo canale che circonda un terreno, ma non ricordo con precisione dove»