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AFGHANISTAN Prigioniere di uno Stato: «Non abbiamo mai smesso di lottare»

20.11.24 - 06:30
L'attivista Zholia Parsi è stata premiata a Ginevra per il suo contributo a favore dei diritti umani
Zholia Parsi
Prigioniere di uno Stato: «Non abbiamo mai smesso di lottare»
L'attivista Zholia Parsi è stata premiata a Ginevra per il suo contributo a favore dei diritti umani

GINEVRA - L'ascesa al potere dei talebani in Afghanistan nell'agosto del 2021 ha comportato la fine dei diritti fondamentali delle donne. Compresa l'insegnante e attivista Zholia Parsi, che è stata costretta a interrompere qualsiasi forma di attività lavorativa e formativa assieme alle sue figlie. Giunta ieri a Ginevra per ritirare il prestigioso premio Martin Ennals, che annualmente conferisce una medaglia al merito per il contributo prestato nell'ambito della difesa e della promozione dei diritti umani, ha dichiarato: «Noi donne non possiamo più camminare per strada, nessuno dei nostri diritti fondamentali è riconosciuto. Il contesto in cui viviamo mi ha resa piena di frustrazione, rabbia e dolore. Ma al contempo mi ha dato la forza di combattere».

Zholia ha fondato il Movimento spontaneo delle donne afghane (Smaw), un'organizzazione non-governativa che nell'arco degli anni ha organizzato numerose manifestazioni pubbliche in tutto il Paese: «Ci siamo opposte perché sapevamo che non potevamo permettere ai talebani di dominare le nostre vite con le loro politiche repressive», ha dichiarato ai giornalisti presenti in sala.

Di fronte alla brutale repressione del regime, la sua organizzazione è stata costretta ad agire nell'ombra, organizzando manifestazioni al chiuso e in rete: «Abbiamo affrontato insulti, minacce e aggressioni. Molte di noi sono state arrestate. Nonostante tutto siamo rimaste unite e abbiamo difeso i nostri diritti».

Zholia è stata arrestata per strada nel novembre del 2023 da un gruppo di uomini armati. È stata incappucciata e costretta a salire in una macchina assieme alla figlia. In prigione le è stato impedito di parlare con un avvocato e di essere visitata da amici e parenti. È stata sottoposta a torture e maltrattamenti prima di essere rilasciata dopo tre mesi. «Le condizioni in carcere erano terribili. Ma nonostante tutte le pressioni e le torture non abbiamo mai smesso di combattere. Parlavamo segretamente con gli altri detenuti e li incoraggiavamo a resistere».

Infine ha rivolto un messaggio alla Svizzera: «Oggi chiedo alla Confederazione di non rimanere in silenzio di fronte alle violazioni dei diritti umani in Afghanistan. La situazione delle donne afghane è una crisi globale».

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