Dopo lo scioglimento del governo a metà ottobre, sono state indette elezioni anticipate. Male il partito del primo ministro
REYKJAVIK - L'Islanda cambia strada: provati dall'inflazione, dalla perdita di potere di acquisto e dal caro alloggi, i 268.000 abitanti della Terra del Ghiaccio hanno bocciato alle elezioni il Partito dell'Indipendenza del primo ministro Bjarni Benediktsson, al governo dal 2021.
Gli elettori hanno premiato l'Alleanza socialdemocratica guidata da Kristrun Frostadottir, giovane ma agguerrita economista con un master a Yale che ha ottenuto il 20,8 per cento delle preferenze contro il 19,2 del partito del premier.
A metà ottobre Benediktsson ha sciolto il governo composto dal suo partito, dal movimento Sinistra-Verde e dal Partito del Progresso a causa delle divisioni all'interno della coalizione su un'ampia gamma di questioni, dalla politica estera ai richiedenti asilo e alla politica energetica. Il primo ministro ha convocato così elezioni anticipate ma ha ottenuto il risultato peggiore di sempre. Al terzo posto si è piazzato il Partito Liberale Riformista con il 15,8%.
"La gente vuole cambiamenti" - L'Alleanza socialdemocratica ha conquistato 15 dei 63 seggi del Parlamento, più che raddoppiando il suo punteggio rispetto al 2021, quando aveva solo sfiorato il 10%. "Sono estremamente orgogliosa di tutto il lavoro che abbiamo fatto. È evidente che la gente vuole vedere dei cambiamenti nel panorama politico", ha dichiarato Kristrun Frostadottir all'Afp quando i risultati hanno iniziato a essere chiari sabato sera.
In Islanda non c'è la cultura dei governi di minoranza, quindi ora i partiti cominceranno a negoziare alla ricerca di una coalizione di maggioranza: sembra probabile quella formata dall'Alleanza Socialdemocratica e dal Partito Liberale Riformista ma, avvertono i politologi, è difficile fare previsioni perché in Islanda il gioco delle alleanze è relativamente aperto.
Torna il tema dell'ingresso nell'Ue - La disfatta della maggioranza è di tali dimensioni che il movimento Verde-Sinistra, anche lui al governo, ha ottenuto solo il 2,3% dei voti, al di sotto della soglia di sbarramento del 5% necessaria per entrare in Parlamento.
Nonostante abbia causato la caduta del governo, l'immigrazione non è stata, però, una questione dirimente per gli elettori in un Paese in cui un residente su cinque è di origine straniera. A scaldare i cuori degli islandesi sono invece le questioni economiche. E per la prima volta in più di un decennio, sembra tornato alla ribalta della campagna elettorale anche il tema dell'ingresso nell'Unione Europea, con il sostegno pubblico all'adesione che ha raggiunto il 45 per cento.