Le condizioni di carcerazione della giornalista italiana non sarebbero affatto migliorate
ROMA / TEHERAN - Il destino di Cecilia Sala, la giornalista italiana arrestata in Iran lo scorso 19 dicembre, è sempre più legato a quello di Mohammad Abedini. L'Iran lo ha messo in chiaro con il suo ambasciatore a Roma, Mohammad Reza Sabouri, convocato dal segretario generale della Farnesina Riccardo Guariglia alla luce della seconda, e per ora ultima, telefonata della giornalista ai parenti.
Cecilia Sala ha raccontato come le sue condizioni nella prigione di Evil, dove è rinchiusa dal 19 dicembre, non siano in alcun modo migliorate: due coperte come giaciglio, niente materasso né maschera per gli occhi nella cella illuminata 24 ore. Una novità allarmante, per i familiari e l'esecutivo, che ha portato le opposizioni a chiedere condivisione sulle iniziative, e subito dopo il governo ad accelerare: prima la convocazione dell'ambasciatore iraniano, poi un vertice d'urgenza a Palazzo Chigi, sede dell'esecutivo, dove al termine la premier Giorgia Meloni ha telefonato al padre della ventinovenne e ricevuto la madre.
La prima preoccupazione di Elisabetta Vernoni è che le condizioni carcerarie «non segnino per la vita» la figlia. L'auspicio sono «decisioni importanti e di forza del nostro Paese per ragionare sul rientro in Italia». Il suo rimpatrio è una questione di interesse nazionale, rimarcano fonti dell'esecutivo al termine di una giornata ad alta tensione. Il modo in cui sarà gestita la vicenda, è un altro dei ragionamenti, segnerà la temperatura dei futuri rapporti con Teheran. Intanto sarà mantenuto un confronto alto con la Repubblica islamica, a cui dopo il vertice di Palazzo Chigi si pretende per Sala «un trattamento rispettoso della dignità umana», in attesa della sua «immediata liberazione». Poco prima che la premier riunisse al tavolo il ministro degli Esteri Antonio Tajani, quello della Giustizia Carlo Nordio, il sottosegretario Alfredo Mantovano, il consigliere diplomatico Fabrizio Saggio, l'ambasciata di Teheran ha diffuso la sua ricostruzione dell'incontro alla Farnesina (Ministero degli affari esteri).
Una nota in cui si afferma che Abedini (arrestato a Malpensa il 16 dicembre su richiesta degli Usa), è "detenuto con false accuse", e si chiede all'Italia un trattamento reciproco rispetto a quello di Sala. Che, afferma l'Iran, è in cella per «violazione delle leggi della Repubblica islamica» e «secondo l'approccio islamico e sulla base di considerazioni umanitarie, tenendo conto del ricorrente anniversario della nascita di Cristo e dell'approssimarsi del nuovo anno cristiano» le sono state fornite «tutte le agevolazioni necessarie, tra cui ripetuti contatti telefonici con i propri cari».
Dal vertice di Palazzo Chigi arriva la risposta formale anche su Abedini: «A tutti i detenuti è garantita parità di trattamento nel rispetto delle leggi italiane e delle convenzioni internazionali». Il lavoro diplomatico, politico e di intelligence proseguirà intrecciato, in un delicato gioco di equilibri anche con l'alleato americano. La giustizia Usa chiede che Abedini, accusato di cospirazione e supporto materiale al Corpo delle Guardie della rivoluzione islamica, resti in carcere, mentre il suo legale insiste per i domiciliari. Quest'ultima soluzione, è uno dei ragionamenti che si fanno in ambienti politici, senz'altro faciliterebbe la liberazione della giornalista del Foglio e di Chora Media. In questa fase è considerato cruciale anche il ruolo del ministero della Giustizia. Anche l'Ue è intervenuta con l'Alta rappresentante per la politica estera Kaja Kallas che ha chiesto «l'immediata liberazione» della reporter italiana.
Intanto la risposta del governo alle opposizioni - che a più voci chiedono di capire la strategia italiana - arriva con la «disponibilità immediata» di Mantovano a riferire al Copasir anche nelle prossime ore.