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ITALIAQuei tre, ancora introvabili

16.01.25 - 06:30
A ormai due anni dall'arresto di Matteo Messina Denaro, i loro sono gli ultimi nomi rimasti sulla lista dei "super latitanti" italiani
Imago / Ministero dell'Interno italiano
Da sinistra: Attilio Cubeddu, Giovanni Motisi e Renato Cinguegranella.
Da sinistra: Attilio Cubeddu, Giovanni Motisi e Renato Cinguegranella.
Quei tre, ancora introvabili
A ormai due anni dall'arresto di Matteo Messina Denaro, i loro sono gli ultimi nomi rimasti sulla lista dei "super latitanti" italiani

Due anni fa, la lista conteneva ancora cinque nominativi. Qualche ora dopo i nomi scesero a quattro. Era il 16 gennaio 2023, e il più anziano membro di quella stretta cerchia, Matteo Messina Denaro, boss stragista di Cosa nostra, terminava la sua trentennale latitanza all'esterno di una clinica privata di Palermo. Pochi mesi dopo, il 27 aprile, in quel di Genova, i Carabinieri misero le manette ai polsi di Pasquale Bonavota, esponente di spicco dell'omonima 'ndrina - era accusato di associazione di tipo mafioso e omicidio aggravato -, che nello sparuto elenco dei cosiddetti "super latitanti" italiani ci era finito nel 2018. Ne restarono così solo tre. Le ultime, introvabili, primule rosse.

Attilio Cubeddu, bandito e detenuto modello
Quello ricercato da più tempo è Attilio Cubeddu. Classe 1947, nato ad Arzana e con un curriculum criminale avviato in età giovanissima, ha fatto parte della cosiddetta "Anonima sequestri". Nella lista dei latitanti di massima pericolosità ci è finito nel febbraio 1997 per, si legge nella sua scheda, non aver fatto rientro, al termine di un permesso, nella Casa Circondariale di Badu 'e Carros, a Nuoro, ove era ristretto, per sequestro di persona, omicidio e lesioni gravissime. E dal 1998 è pure ricercato a livello internazionale. Ma cosa ci faceva fuori dal carcere - con un mese di permesso - uno che solo nel 1984, un anno dopo il suo arresto, era stato condannato a 30 anni di reclusione?

Cubeddu, come riportano le cronache dell'epoca, era stato un detenuto modello durante il suo periodo in carcere. Ed è proprio così che riuscì a ottenere diversi permessi premio, sfruttandone infine uno per darsi alla macchia. E tornare alla vita precedente. Perché quello stesso anno, era il mese di giugno del 1997, il bandito sardo prese parte al sequestro Soffiantini, occupandosi di custodire l'imprenditore bresciano. E non solo. Nell'ottobre dello stesso anno, in occasione di un'operazione, fallita, del Nucleo operativo centrale di sicurezza contro i sequestratori, rimase coinvolto anche nell'uccisione dell'ispettore Samuele Donatoni. Fatti che gli valsero una condanna, in contumacia, ad altri 30 anni.

Nei primi anni 2000, gli inquirenti ipotizzarono che Cubeddu potesse essere morto. Ucciso, forse, da uno dei suoi complici, Giovanni Farina, per non dover dividere la torta del sequestro Soffiantini. Le indagini furono poi riaperte formalmente nel 2012, forti della convinzione che il bandito sardo fosse in realtà vivo e nascosto nel suo territorio. E se così ancora fosse, oggi avrebbe quasi 78 anni.

Giovanni Motisi, il capo di Cosa nostra?
Dalla Sardegna alla Sicilia. Giovanni Motisi, detto u 'Pacchiuni (il grasso, ndr.), è un fantasma di Cosa nostra. Boss del clan di Pagliarelli, è ricercato dalle forze dell'ordine dal 1998, per un ventaglio di reati che vanno dall'omicidio alla strage - alcuni pentiti lo hanno collegato al delitto del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, incorniciandolo come uno dei killer di fiducia di Salvatore Riina, boss dei Corleonesi -, il tutto sotto il cappello dell'associazione di stampo mafioso. Anche l'Europol lo ha inserito, nel 2016, nella lista dei maggiori ricercati in Europa. La sua presenza, infatti, è stata segnalata negli anni anche in Francia.

L'ultima fotografia, nota, che lo ritrae risale al 1999. Un'istantanea che lo immortala, sorridente, al compleanno della figlia. Da quel momento, più nulla. Anche Motisi, come era stato per Cubeddu, è stato dato per morto nel corso degli anni. Le autorità della vicina Penisola tuttavia continuano a cercarlo. E proprio l'anno scorso, la Polizia di Stato ha diffuso un suo identikit invecchiato con la tecnica dell'age progression, auspicando così di dare un boost all'attività investigativa.

Renato Cinguegranella, il custode dei segreti
Il "podio" dei super ricercati italiani lo chiude Renato Cinquegranella. Napoletano, classe 1949, nell'elenco dal 2002 per una lunga serie di reati che comprendono l'associazione per delinquere di tipo mafioso, il concorso in omicidio, la detenzione e il porto illegale di armi da fuoco e l'estorsione. Negli anni ottanta entrò a far parte della Nuova Famiglia, l'organizzazione nata per contrastare l'egemonia della Nuova Camorra Organizzata di Raffaele Cutolo. E proprio nell'ambito di quella guerra, Cinquegranella avrebbe preso parte al cruento omicidio di Giacomo Frattini, un affiliato dei cutoliani che, per rappresaglia alla "strage di Poggioreale" - di cui fu considerato uno degli ideatori -, fu torturato, ucciso e poi fatto a pezzi (che furono rinvenuti nel bagagliaio di un'auto).

Cinquegranella è considerato l'ultimo custode dei segreti di quella stagione camorristica e delle sue connivenze con apparati dello Stato. Fu arrestato nel 1983, accusato di essere coinvolto nell'omicidio del vicequestore Antonio Ammaturo, ucciso dalle Brigate Rosse l'anno prima. E proprio quell'agguato sarebbe, secondo le dichiarazioni di alcuni collaboratori di giustizia, legato a doppio filo alla trattativa intavolata per la liberazione dell'assessore democristiano Ciro Cirillo. Cinquegranella era il destinatario di uno dei mandati di cattura per favoreggiamento spiccati in quell'occasione. Il sospetto è che si fosse speso personalmente per aiutare i brigatisti a lasciare Napoli dopo l'agguato.

Nel 1989 evase una prima volta. Fu arrestato di nuovo e rimase in carcere fino al 2002 quando, in occasione di un permesso, fece perdere del tutto le sue tracce.

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