La riconquista talebana del Paese getta l'intera regione nell'instabilità. Ma le sue implicazioni travalicano i confini
KABUL - La magnitudo della caduta di Kabul è di quelle che si possono percepire ai quattro angoli del globo. La conquista della capitale afghana da parte delle milizie talebane, che ieri hanno proclamato la nascita dell'Emirato Islamico di Afghanistan, sprigiona un ampio velo d'incertezza geopolitica che si espande ben oltre gli orizzonti visibili dalle cime dell'Hindu Kush.
Solo una settimana fa, fonti dei servizi d'intelligence degli Stati Uniti pronosticavano la possibile conquista di Kabul da parte delle colonne talebane in un periodo che andava da un mese a 90 giorni. Ma in pieno contrasto con la natura impervia di quei territori, il ventre molle del Paese non ha saputo opporre alcuna resistenza contro l'avanzata delle milizie. Così, il sipario sulla riconquista talebana è già calato. E nessuno sembra ora in grado di prevedere cosa succederà nel prossimo futuro. In Afghanistan e, in parte, fuori dai suoi confini.
Un orizzonte ancora indecifrabile
Si è parlato di una transizione «pacifica» dei poteri, con tanto di garanzie da parte dei talebani sul fatto che i rappresentanti diplomatici stranieri, inclusi quelli delle «forze occupanti», non saranno toccati. Mentre in Afghanistan si spara, in Qatar si negozia. I tavoli a cui siedono i rappresentanti delle forze talebane e quelli di altri Paesi - tra cui Stati Uniti, Regno Unito e alcuni vicini quali Pakistan e Cina - sono però piuttosto scricchiolanti e non permettono per il momento di escludere dallo scenario alcuna opzione. Neanche quella di una guerra civile.
Muovendosi al di fuori delle frontiere afghane, il primo sguardo è inevitabilmente rivolto a Washington. Il ritiro delle truppe a stelle e strisce - deciso con la firma dei due accordi di Doha e Kabul, il 29 febbraio 2020 - aveva sin da subito collocato il governo afghano in una posizione di sfavore. Politicamente, quello ottenuto dalla Casa Bianca è un risultato in chiaroscuro, che crea difficoltà ai suoi rivali ma per il quale gli americani dovranno anche sopportare quell'indice puntato contro. La "vergogna" in cambio dell'instabilità che si riverbera nella regione e che creerà non poche preoccupazioni a Cina, Russia e Iran. E poi resta sul tavolo l'incognita del terrorismo islamista, che potrebbe trovare nella nuova realtà afghana un terreno fertile per proliferare.
La pressione anche sui confini europei
Ma anche l'Europa guarda con inquietudine a quanto sta accadendo rapidamente nel Paese centro-asiatico. La situazione in "caduta libera" ha innescato la fuga di migliaia di persone che potrebbero affacciarsi alle frontiere degli Stati del vecchio continente per cercare un rifugio. Ma non tutte le porte si annunciano aperte. Ci sono Grecia, Austria e Belgio che mantengono la linea dura in netta opposizione alla volontà di bloccare i rimpatri espressa dalla Commissione europea. In questa lista c'erano fino a pochi giorni fa anche Germania, Danimarca e Paesi Bassi, che però hanno annunciato un passo indietro. Sul fronte opposto si è invece subito schierato il governo albanese, che ha dato disponibilità ad accogliere alcune centinaia di rifugiati provenienti dall'Afghanistan.