Alle 15 si apre l'elezione del presidente della Repubblica. L'intesa tra le forze politiche appare però distante.
Silvio Berlusconi ha fatto un passo indietro. Mario Draghi attende, con l'ipotesi Belloni che potrebbe sbloccare la strada. Conte mette al riparo Andrea Riccardi. Enrico Letta avanza su Casini. E sul tavolo resta anche il bis di Sergio Mattarella.
ROMA - Parola d'ordine: scheda bianca. Il leader del Movimento 5 Stelle, Giuseppe Conte, lo ha già detto chiaramente. Per Enrico Letta, segretario del Partito democratico, è un'ipotesi «molto probabile». Matteo Salvini invece deciderà solo in queste ore. La partita per la successione di Sergio Mattarella al Quirinale si apre ufficialmente alle 15 di questo pomeriggio, dopo un intenso weekend di trattative che però non hanno portato le forze politiche della vicina Penisola a convergere su un nome.
Al via, centrodestra e centrosinistra si presentano molto distanti. Come partner che parlano solo attraverso gli avvocati. O in questo caso, televisioni e giornali. È improbabile quindi attendersi un'elezione lampo nel corso dei primi tre scrutini, dove il quorum è fissato alla soglia dei due terzi dei 1'008 grandi elettori; senza un accordo è un'opzione pressoché impossibile. Ma parlando di opzioni e scelte, quella di votare scheda bianca appare per molti una necessità. Sicuramente di non bruciare nomi, ma anche di dribblare ogni conteggio e aprirsi al dialogo. E soprattutto, di mostrarsi tra partiti (e coalizioni) più uniti di quanto in realtà non siano.
Kingmaker Salvini? Tante carte ma nessuna mano
In altre parole, si prendono del tempo in attesa di superare lo scoglio della terza votazione, quando - a partire dalla quarta - il quorum per eleggere il presidente della Repubblica scenderà da 672 a "soli" 505 voti. Numeri che però al momento non ha ancora in mano nessuno. Il "mazzo di carte" più ampio è teoricamente nelle mani del leader della Lega che, con Forza Italia e Fratelli d'Italia, parte dai 451 grandi elettori del centrodestra - mentre l'asse opposto (PD, 5 Stelle e LeU) è a quota 407. Concretamente però, sembra che Salvini abbia in questo momento tante carte ma nessuna mano da giocare, con il ritiro ufficiale di Silvio Berlusconi a complicare anche i rapporti "interni" con Giorgia Meloni. Se il primo ha ribadito ieri il suo secco no all'ipotesi di Mario Draghi al Quirinale - toglierlo «dal governo sarebbe pericoloso, perché sarebbe pericoloso per l’Italia in un momento difficile reinventarsi un nuovo governo da capo» -, da Fratelli d'Italia è stato smentito qualsiasi veto nei confronti dell'ex presidente della BcE. «Sarebbe semmai un problema che possono avere le forze che partecipano al suo governo»; le parole di Meloni.
Chi sono i "quirinabili"?
Capitolo nomi. L'ex premier Silvio Berlusconi si è autoescluso dal novero dei cosiddetti "quirinabili" e Mario Draghi è "incastrato" tra le pareti di Palazzo Chigi - quel trampolino per il Colle che ora appare come una sorta di limbo - in attesa. Al premier, come riporta oggi il Corriere della Sera, i partiti chiedono «un'iniziativa politica» se intende essere votato al Quirinale. In altre parole, utilizzando parole spese in una discussione tra i deputati della maggioranza, «deve sedersi al tavolo e chiudere l'intesa sul suo successore e sull'assetto di governo». È emerso così in queste ore il nome di Elisabetta Belloni. La diplomatica italiana, attuale direttrice generale del Dipartimento delle informazioni per la sicurezza, potrebbe essere la chiave di un "semi-arrocco". Lei nuova presidente del Consiglio. E Draghi presidente della Repubblica. L'ex segretaria generale della Farnesina è una figura bipartisan, che potrebbe scongelare il veto del centrodestra sull'attuale "premier".
Tra gli altri nomi in circolazione si registrano poi quello dell'attuale ministra della Giustizia Marta Cartabia. Figura spendibile sia a Palazzo Chigi che per il Quirinale, ma con la strada bloccata dall'eventuale scenario Belloni. Su Andrea Riccardi si è espresso l'ex "premier" Conte, facendo preventivamente scudo dai cecchini del parlamento. «È una proposta che io stesso ho fatto nei giorni scorsi ai leader di Pd e LeU. È una proposta che non ha coloritura politica. Non è una candidatura di bandiera, come hanno scritto alcuni giornali. È una figura che teniamo lì, nei tavoli di confronto con le altre forze politiche. Non è un nome che bruciamo». E poi c'è Pier Ferdinando Casini, veterano del parlamento italiano (in cui siede dal 1983) e già presidente della Camera. La sua candidatura, all'apparenza, sembra essere un poco spenta nelle ultime ore. Ma le parole di Salvini - «Non è uno dei nostri nomi» - non sono una porta chiusa. E anzi, c'è chi lo vede favorito rispetto a Mario Draghi. Infine, c'è la carta di un "bis" di Sergio Mattarella, che rimane in un angolo del tavolo. Lui non vorrebbe, ma è il nome che potrebbe mettere tutti d'accordo. A poche ore dal fischio d'inizio, la partita è già bella che iniziata.