Un terzo dei pretendenti alla successione di Boris Johnson si è già ritirato.
Il favorito dai bookmaker resta l'ex cancelliere dello Scacchiere Rishi Sunak. Ma alle sue spalle prova a farsi largo la ministra degli Esteri Liz Truss
LONDRA - Otto superstiti, due dei quali intenzionati a cercare decisamente di prendere il largo. Si restringe la corsa per la successione a Boris Johnson come leader del Partito Conservatore e futuro premier britannico dopo il primo taglio secco imposto dal Comitato 1922, l'organismo interno al gruppo parlamentare di maggioranza che presiede a una competizione destinata a concludersi con l'annuncio del vincitore o della vincitrice il 5 settembre.
Gruppo in seno al quale divampa la lotta all'ultimo coltello, ma che domani dovrà esibire una qualche unità di facciata per blindare il dimissionario BoJo - asserragliato a Downing Street sino al giorno X - contro la beffarda mozione di sfiducia formalizzata dall'opposizione laburista di Keir Starmer.
La mossa del Labour è dimostrativa, visto che i Tories mantengono alla Camera dei Comuni un'ottantina di seggi di scarto e non hanno alcuna intenzione di prestare il fianco - al netto delle divisioni scatenate dalla crisi - allo scenario per loro kamikaze in questa fase delle elezioni anticipate: pressoché automatico ove mai la mozione (in serata bloccata dal governo) fosse ammessa e approvata.
Un modo per infierire sull'imbarazzo di un premier travolto dagli scandali e dei ministri o ex ministri che dopo averlo a lungo affiancato si contendono ora la sua poltrona. Ministri ed ex ministri come Rishi Sunak, dimessosi da cancelliere dello Scacchiere e responsabile della politica economica appena una settimana fa, e come Liz Truss, titolare degli Esteri tuttora in carica, che - salvo la possibile sorpresa di Penny Mordaunt - sembrano consolidarsi come i due veri sfidanti.
Il primo scalino della scalata si è consumato oggi con il deposito delle candidature, per accettare le quali il Comitato 1922 aveva elevato ieri da 8 a 20 il quorum delle firme di deputati sostenitori necessarie. Un modo per rendere più spedito l'iter e ridurre l'agonia della transizione. Un tetto superato da Sunak, dalla Mordaunt, dalla Truss e poi da Tom Tugendhat, da Jeremy Hunt, da Suella Braverman, da Kemi Badenoch e da Nadhim Zahawi: divisi perfettamente per genere (quattro donne e quattro uomini) e origine etnica familiare (quattro anglosassoni, due indiani, un curdo-iracheno e una nigeriana): non senza rinunce e ritiri in extremis di altri 4 potenziali aspiranti considerati ancora in lizza fino a ieri, ultimo il veterano Sajid Javid.
I bookmaker continuano a dare favorito Rishi Sunak. Ma alle spalle prova a farsi largo la ministra degli Esteri Liz Truss, 47 anni fra pochi giorni, forte della sua immagine bellicosa nella risposta all'invasione russa dell'Ucraina e d'una piattaforma destrorsa e ultraliberista: con tanto di promesse di tagli di tasse thatcheriani, quasi a cercare di compensare i limiti di carisma con il tentativo di assurgere a erede della Lady di Ferro.
Truss, che pur eclissandosi nei giorni della crisi non ha mai scaricato pubblicamente Johnson, conta fra i suoi non pochi sostenitori dell'ultima ora i due pretoriani più irriducibili di BoJo - Jacob Rees-Mogg e Nadine Dorries - che la accreditano come hard brexiteer a tutta prova (per quanto convertita solo dopo il referendum del 2016 e non pro Leave della prima ora come il rivale Sunak).
Ma figure di spicco del gabinetto uscente si stanno unendo anche all'ambizioso Rishi: dal vicepremier Dominic Raab al titolare dei Trasporti Grant Shapps, ritiratosi a sua volta in extremis. Una doppia scelta di campo mossa evidentemente dalla convinzione che il 42enne ex cancelliere di origine indiane alla fine ce la possa fare davvero a diventare il primo capo del governo di Sua Maestà proveniente da un minoranza nella storia post imperiale britannica, a dispetto della nomea di traditore che i tabloid gli rinfacciano alimentando sospetti d'intelligenza fra il suo team e il controverso Dominic Cummings, l'ex guru della Brexit ed ex eminenza grigia del johnsonismo divenuto nemico giurato di Boris dopo esser stato cacciato da Downing Street.
Sunak d'altronde si sforza già di parlare da primo ministro in pectore: non solo nei panni di potenziale leader unitario del partito, ma soprattutto di personaggio più credibile dei rivali di fronte all'elettorato più vasto del Paese, impegnandosi ad alleggerire la pressione fiscale solo dopo aver riportato «sotto controllo l'inflazione» e irridendo le ricette da «fantasy economics» di Truss e soci.
Mentre giura di non aver più nulla a che fare con Cummings e prova addirittura a tendere la mano verso lo stesso Johnson, assicurando, al di là dei «disaccordi» recenti, di riconoscere «meriti» all'uomo che gli ha fatto fare carriera; di considerarlo dopo tutto una persona «di buon cuore»; e di non avere alcuna intenzione di permettere che sia «demonizzato».
Gli otto superstiti - Gli otto pretendenti superstiti sono stati elencati dal presidente del Comitato 1922, Graham Brady, in ordine alfabetico: sono la vice-ministra uscente delle Infrastrutture, Kemi Badneoch, la attorney general, Suella Braverman, l'ex ministro di Sanità ed Esteri dei governo Cameron e May, Jeremy Hunt, la viceministra del Commercio uscente (e in passato prima donna ministra della Difesa del Regno), Penny Mordaunt, l'ex cancelliere Rishi Sunak, la titolare degli Esteri in carica, Liz Truss, il presidente della commissione Esteri della Camera dei Comuni, Tom Tugendhat e il cancelliere dello Scacchiere in carica, Nadhim Zahawi.