Dopo il fallimento-lampo di Liz Truss i conservatori in cerca di un nuovo leader che potrebbe essere... quello vecchio
LONDRA - Avanti un altro, un'altra o - più probabilmente - quello di prima. È tempo di porte girevoli al numero 10 di Downing Street, dove prende corpo l'opzione clamorosa (farsesca per qualcuno, inevitabile per altri) di una resurrezione lampo di Boris Johnson al posto di Liz Truss: premier di passaggio durata 45 giorni e a cui adesso le opposizioni chiedono di rinunciare al vitalizio da 115.000 sterline annue garantire di regola a tutti gli ex capi di governo di Sua Maestà, sventolando l'entità della somma come uno "scandaloso" privilegio della casta dopo meno di due mesi di mandato, uno schiaffo ai comuni mortali vittime della crisi economica.
Una resa dei conti fra i Tory
Il carosello della politica britannica ha ripreso a girare vorticosamente attorno a sé stesso e all'ennesima resa dei conti in seno alla parrocchia Tory per la scelta di un nuovo (o vecchio) leader destinato ad affrontare la burrasca del caos lasciato alle spalle da Truss: fra crisi internazionale, lacerazioni intestine e turbolenze finanziarie.
I pedoni sono sulla scacchiera e le mosse sono attese per tutta la durata di un weekend di paura che precede il verdetto di lunedì. Con il tentativo di Johnson di riprendersi la scena e il potere - dopo l'onta delle dimissioni obbligate subita solo 3 mesi fa e l'autoproclamazione a Cincinnato di turno - contrapposto ormai solo a due potenziali alternative.
In primis Rishi Sunak, suo ex pragmatico cancelliere dello Scacchiere e quindi capofila dei presunti accoltellatori; e di rincalzo la ministra Penny Mordaunt, terza nelle quote dei bookmaker ma prima a scendere in campo ufficialmente oggi con due assi nella manca: un profilo più trasversale e l'impegno a confermare al suo fianco in veste di cancelliere Jeremy Hunt, garante dei mercati dal volto moderato appena paracadutato al vertice delle Finanze in nome della "stabilità" fiscale.
Lo spettro delle elezioni anticipate
In gioco, in casa Tory, c'è del resto l'ultima chance di allontanare la prospettiva di elezioni anticipate che le opposizioni ormai pretendono a gran voce, con buona parte dell'opinione pubblica. E dalle quali a un certo punto sarà difficile sfuggire in un contesto di crisi galoppante. Ma che per il partito di governo - in larga maggioranza alla Camera dei Comuni, per quanto lacerato tra fazioni e furiosi risentimenti incrociati - è vitale provare a rinviare almeno di un po' visti i sondaggi terminali più recenti che indicano al momento uno scarto record di oltre 30 punti dal pur non scintillante Labour in versione normalizzata di sir Keir Starmer.
Obiettivo diametralmente contrario a quello invocato dai laburisti e da tutti gli altri partiti d'opposizione. «Boris Johnson è stato giudicato inadeguato al ruolo di premier dalla sua maggioranza solo 3 mesi fa», ha tuonato Starmer, ricordando lo scandalo Partygate e gli altri passi falsi costatigli la poltrona in estate. Un suo ripescaggio sarebbe «inconcepibile - ha rincarato -, il miglior argomento a favore delle elezioni anticipate».
La stampa destrorsa che ne ha sostenuto la bandiere fin dall'epoca del referendum sulla Brexit del 2016 - dal Telegraph ai tabloid più popolari come Sun e Daily Mail - è tuttavia già pronta a tornare al suo fianco.
Sunak può farcela?
Mentre, fra i deputati, la moltiplicazione delle dichiarazioni pro Sunak trova un argine nei primi endorsement di spicco a BoJo: da quello di Jacob Rees-Mogg, capofila degli ultra brexiteer e promotore dell'hashtag "BorisorBust" (Boris o il fallimento); a quello del rispettato titolare della Difesa, Ben Wallace, simbolo super partes della linea dura contro la Russia sul dossier Ucraina, che si chiama fuori da ambizioni personali e si dice pronto a concedergli una seconda possibilità a patto che faccia qualche ulteriore atto di contrizione sul passato.
Una seconda possibilità che peraltro non convince tutti, neppure fra gli ex fedelissimi, in attesa che lunedì scadano i termini per la presentazione delle candidature formali, con il quorum richiesto elevato al sostegno minimo di 100 parlamentari del gruppo di maggioranza. Tanto più che su Johnson pende ancora l'incognita di un'inchiesta interna alla Camera dei Comuni, con il rischio di doversi dimettere di nuovo se riconosciuto colpevole d'aver mentito a suo tempo in Parlamento sul Partygate.
E che la sua immagine divisiva già inquieta i mercati, dove la sterlina è tornata a perdere terreno dopo il balzo in avanti innescato dalla notizia dell'ormai sospirata caduta di Truss: a meno di non considerare rassicuranti le indiscrezioni del Times sui tentativi di un problematico accordo di ricucitura in extremis con Sunak per un qualche ticket unitario.