Guanti, visiere, mascherine, imballaggi, la battaglia contro la plastica monouso ha subito un brusco stop
PARIGI - Coprire i propri volti o avvolgere, per una maggiore sicurezza, frutta e verdura: la plastica monouso, che il mondo aveva cominciato ad eliminare, sta tornando in auge a causa della crisi del coronavirus, con grande dispiacere degli ambientalisti.
Mascherine, guanti e altri imballaggi stanno inoltre flagellando gli oceani. E ciononostante, rappresentano solo una piccola parte dell'attività dell'industria della plastica.
L'industria ha così preso la palla al balzo. A metà marzo, il sindacato francese delle materie plastiche ha rilasciato una dichiarazione in cui afferma che «senza plastica monouso, non ci sarebbero gli imballaggi per proteggere il vostro cibo dai germi». Ed è un trend a livello globale: la California ha revocato il divieto di borse monouso per due mesi, mentre in Arabia Saudita i supermercati stanno imponendo ai loro clienti guanti usa e getta.
Negli Stati Uniti, l'Associazione dell'industria delle materie plastiche ha chiesto già il 20 marzo che la sua attività fosse considerata «essenziale» in tempi di lockdown. «La plastica monouso è una questione di vita o di morte» negli ospedali, scriveva Tony Radoszewski, all'epoca presidente della lobby, esaltando anche il ruolo dei sacchetti monouso «per proteggere i dipendenti del supermercato e i consumatori da tutto ciò che si trova sopra le borse riutilizzabili».
Secondo un sondaggio di OpinionWay-Sodastream, il 66% dei francesi dichiara di preferire il cibo confezionato, finché dura la crisi di coronavirus.
Protezione incompleta - In ogni caso, la plastica non è una protezione assoluta. Secondo l'Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms), il lavaggio delle mani è più efficace rispetto all'uso dei guanti. Secondo uno studio pubblicato sulla rivista americana NEJM, inoltre, il Covid-19 è rilevabile fino a due o tre giorni su plastica, 24 ore sul cartone.
«Per uso medico, non c'è niente di meglio del monouso. Ma vogliono farci credere che sia una risposta al consumo quotidiano. È lobbismo. Il riutilizzabile non pone problemi di salute», dice Raphaël Guastavi dell'Agenzia francese per la gestione dell'energia (Ademe), rassicurato nel vedere che i rappresentanti europei hanno il desiderio di non cedere.
Una nuova breccia - Il WWF ripete l'allarme: già nel 2019 aveva stimato che nel Mediterraneo erano state scaricate 600'000 tonnellate di plastica, di cui il 40% solo in estate. «La battaglia culturale contro la plastica monouso sembrava essere stata vinta. Oggi è stata nuovamente aperta una breccia, e dovremo rispondere», ha detto Pierre Cannet, di WWF Francia.
«Una maschera non è facile da riciclare. L'approccio generale delle autorità pubbliche è quello di buttarle nei rifiuti domestici per l'incenerimento, che dal nostro punto di vista è la situazione migliore», ha invece spiegato Arnaud Brunet, dell'International Bureau of Recycling (BIR), che riunisce professionisti provenienti da 70 Paesi.
«Ne sapremo di più con il passare del tempo, forse potremmo immaginare una raccolta speciale, o in farmacia, ma non siamo ancora a quel punto».
Domanda in aumento - Circa 350 milioni di tonnellate di materie plastiche vengono prodotte ogni anno in tutto il mondo, principalmente in Asia (50%), Nord America (19%) ed Europa (16%), con una crescita moderata ma costante della produzione.
La domanda è in forte aumento per il mercato della protezione (maschere, magliette, schermi), ma questo volume rimane basso rispetto ai massicci sbocchi del settore automobilistico e dell'edilizia.
«Per fare diverse centinaia di migliaia di visiere, bastano poche tonnellate» di plastica, sottolinea Eric Quenet. Il plexiglas, che è molto richiesto per i divisori, «rappresenta meno dell'1% del mercato francese delle materie plastiche».
Complessivamente, per la prima volta dal 2008, il settore prevede che il 2020 sarà un anno peggiore del precedente, e questo a causa del coronavirus.