La stretta dovrebbe essere ufficializzata nei prossimi giorni. E non riguarda solo le criptovalute
La Mongolia Interna, forte di un basso costo dell'elettricità, ospita l'8% delle attività di mining globali legate al Bitcoin.
HOHHOT - Sembra pronto a calare il sipario su tutte le attività di mining di criptovalute nella Mongolia Interna. La regione autonoma cinese intende implementare il divieto per ridurre il consumo energetico.
La regione, come riportato dall'agenzia Reuters, non ha raggiunto (unico caso fra le 30 aree che sottostanno al progetto di revisione energetica di Pechino) quelli che erano gli obiettivi fissati per il 2019. La Mongolia Interna, grazie alle enormi riserve di carbone di cui dispone e al basso costo dell'energia elettrica, è un polo attrattivo per i cosiddetti "data center" in cui vengono svolte le attività di mining che, come noto, richiedono quantità ingenti di energia.
Stando alle cifre del Cambridge Bitcoin Electricity Consumption Index, la regione ospita l'8% delle attività di mining mondiali legate alla più famosa criptovaluta. Al momento, in termini di consumo energetico, se il Bitcoin fosse un paese sarebbe al 28esimo posto nella graduatoria dei consumi su base annuale, con 129.22 TWh (terawattora). Per fare un paragone, la Svizzera occupa la 48sima posizione, con 56.35 TWH, ossia meno della metà.
Non solo Bitcoin & co.
L'orizzonte sarebbe stato fissato a due mesi da oggi. Tutti i progetti di mining in corso nella Mongolia Interna dovranno cessare entro la fine del mese di aprile. Ma la stretta non toccherà solamente Bitcoin e affini, ma tutte le industrie, dall'acciaio allo stesso carbone, che sfruttano tecnologie datate ed eccedono nei consumi. Per queste ultime la deadline è stata fissata entro la fine del 2022.
Il governo locale, già bacchettato da Pechino lo scorso autunno per aver mancato gli obiettivi fissati, prevede da ora «controlli più rigidi». Il progetto di revisione è al momento in fase di consultazione fino a mercoledì, ma stando alle anticipazioni del South China Morning Post, la sua approvazione sembra scontata, considerata la volontà di Pechino di ridurre le emissioni entro il 2030 (con l'obiettivo della neutralità carbonica fissato al 2060).