Nel mirino sono finiti H&M, Nike, Adidas e non solo.
I social sostengono invece le aziende nazionali che fanno uso del cotone prodotto nella regione.
PECHINO - Sono sempre di più i marchi internazionali bersagliati sui social media cinesi, per aver preso posizione contro le presunte violazioni dei diritti umani nello Xinjiang.
Tutto è nato mercoledì, con una presa di posizione dei media statali contro H&M, "colpevole" di aver manifestato profonda preoccupazione per le denunce di lavoro forzato nella regione autonoma cinese. Dichiarazioni che peraltro risalgono allo scorso anno e che sono tornate alla ribalta improvvisamente, a sostegno dell'appello del governo a non lasciare che la reputazione della Cina fosse infangata dalle multinazionali straniere.
Brand nel mirino - I media internazionali danno conto di una «frenesia» social, che ha spinto svariati utenti a ricercare dichiarazioni passati di sostegno alla minoranza uigura. Ecco così che sono state prese di mira Nike e Adidas, che avevano espresso in passato le stesse preoccupazioni del brand di abbigliamento svedese. Si va, riferisce l'agenzia stampa Reuters, dall'appello al boicottaggio dei prodotti dei due colossi (a vantaggio di prodotti nazionali come Li Ning e Anta) a esplicite richieste ad Adidas di lasciare la Cina. Secondo il tabloid statale Global Times Inditex, la compagnia proprietaria di Zara, in queste ore ha «rimosso silenziosamente» una dichiarazione sullo Xinjiang dai suoi siti in inglese e spagnolo.
A dare ulteriore ufficialità alla propaganda pro-boicottaggio è stata la televisione statale Cctv. Il portavoce del ministero del Commercio, Gao Feng, bolla come «completamente infondate» le accuse di lavoro forzato nello Xinjiang. La Cina non permetterà ulteriori accuse, aggiunge, auspicando nel contempo che le aziende straniere «rispettino le regole del mercato, correggano le azioni sbagliate ed evitino di politicizzare le questioni commerciali».
La questione del cotone - Anta Sports Products Ltd ha assicurato che continuerà a utilizzare il cotone proveniente dallo Xinjiang; la dichiarazione ha portato il suo titolo alla Borsa di Hong Kong a guadagnare più del 6%. Sostegno è stato manifestato anche ad altre aziende che hanno confermato di utilizzare le materie prime prodotte nella regione. Per contro, la Better Cotton Initiative (Bci), gruppo globale che incoraggia la produzione di cotone sostenibile, è finita nel mirino degli internauti cinesi. I quali «non accettano che le società straniere da un lato guadagnino denaro da loro e dall'altro diffamino la Cina. Rifiutare il cotone dello Xinjiang, tra i migliori al mondo, è una perdita per i marchi» è il commento della portavoce del ministero degli Esteri, Hua Chunying.
La scure su H&M - Tra i grandi marchi chiamati in causa solo H&M ha preso posizione in queste ore: l'azienda ha assicurato di essere impegnata in programmi d'investimento e sviluppo a lungo termine in Cina e di rispettare i consumatori locali. Ciò non è servito a evitare l'apparente blocco dei negozi online sul territorio cinese. Un grande magazzino a Urumqi, capitale dello Xinjiang, ha dichiarato di aver chiuso la filiale locale di H&M e di aver chiesto le scuse della società per «aver diffuso voci» che hanno danneggiato gli interessi regionali e nazionali.