L'hanno intentata decine di stati, che contestano al colosso del web un abuso di posizione dominante
WASHINGTON - Il Distretto di Columbia e altri 36 stati hanno intentato una causa antitrust contro Google, incentrata su un presunto abuso di posizione dominante per favorire il proprio Play Store a scapito della potenziale concorrenza.
La causa, che è stata presentata presso la Corte Distrettuale degli Stati Uniti per il Distretto settentrionale della California, prende anche di mira le commissioni che Google addebita agli sviluppatori per gli acquisti in-app. Google Play Billing è, di fatto, l'unico strumento «di pagamento in-app che uno sviluppatore Android può utilizzare», si legge nei documenti legali consultati dai media statunitensi.
Gli accusatori del colosso del web contestano in particolare l'uso di contratti restrittivi per costringere i produttori di dispositivi Android a promuovere il Google Play Store a spese della concorrenza. Google avrebbe fatto «un tentativo diretto di pagare Samsung per abbandonare i rapporti con i migliori sviluppatori», così che il suo app store rimanesse la fonte più attraente di applicazioni per i dispositivi Android.
Il procuratore generale del Distretto di Columbia Karl Racine ha dichiarato: «Google sta usando la sua posizione dominante nel mercato per soffocare la concorrenza ed estrarre miliardi di dollari in commissioni sugli acquisti in-app da consumatori ignari, e questo comportamento anticoncorrenziale deve cessare». Secondo Racine «non solo Google ha agito illegalmente per impedire ai potenziali rivali di competere con il suo Google Play Store, ma ha anche tratto profitto bloccando in modo improprio gli sviluppatori di app e i consumatori nel proprio sistema di elaborazione dei pagamenti e quindi addebitando commissioni elevate».
La risposta di Google è arrivata tramite un post sul proprio blog, nel quale si legge che «è strano che un gruppo di procuratori generali statali abbia scelto d'intentare una causa attaccando un sistema che offre maggiore apertura e scelta rispetto ad altri». Una contestazione identica era già stata mossa in Europa negli scorsi anni. Il risultato? La promessa, nel 2018, che app essenziali come Gmail e Google Maps non sarebbero state più raggruppate con il Play Store.