Si va in Cina, e poi in Guinea, in un viaggio tra domanda e offerta
LONDRA - L'alluminio non si ferma, in una corsa al rialzo che l'ha portato a toccare i 3'000 dollari la tonnellata. Un +39% da gennaio, fino a raggiungere prezzi da capogiro, il livello più elevato dal luglio del 2008.
Ma cosa c'è dietro? Perché il prezzo dell'alluminio è schizzato alle stelle? La risposta più semplice, come suggerisce la mano invisibile del mercato, è quella della diminuzione dell'offerta.
Offerta che è effettivamente diminuita per diverse ragioni, provenienti in primis dalla Cina, dove avviene la produzione del 60% dell'alluminio globale. Alcune province, tra cui lo Xinjiang e il Guangxi, infatti, hanno recentemente tagliato la produzione, sia per diminuire le emissioni di Co2, sia a causa di un aumento dei costi dell'energia. Un taglio che ha portato apprensione tra gli addetti ai lavori, preoccupati anche da un altro trend cinese: l'aumento dell'import.
Lo squilibrio tra meno produzione e più richiesta, da parte del primo produttore mondiale, ha quindi portato i prezzi a salire sempre più, con il metallo che è diventato sempre più raro e costoso, ed è sempre più ambito. Perché? Vista la sua riciclabilità al 100%, elemento chiave in un mondo sempre più improntato verso la sensibilità ambientale.
Ma non solo Cina, come ha recentemente indicato l'inserto economico del Corriere della Sera. Anche il Colpo di Stato in Guinea ha infatti influito sul prezzo dell'alluminio. In particolare, poiché la crisi interna al Paese ha portato ai timori di uno stop della fornitura di bauxite, la materia prima principale del metallo. La Guinea, infatti, produce un quarto della bauxite al mondo, e una crisi con conseguente stop dell'esportazione avrebbe conseguenze importanti sulla produzione, e quindi sui prezzi, a livello internazionale.
In ogni caso, come ha spiegato al quotidiano italiano Bob Adam, specialista dell'industria della bauxite, il colpo di stato non dovrebbe avere un impatto sull'export, poiché qualsiasi Governo «vorrà assicurarsi di non mettere a repentaglio guadagni e investimenti futuri». D'altronde, sembrerebbe effettivamente una follia rinunciare ad un mercato del genere, vista la domanda in crescita, che nel 2021 è già del 10% più alta rispetto al 2020.