Una corrente minoritaria pensa, invece, che il rialzo sia ormai diventato strutturale
ROMA - Considerate fino a pochi mesi un mercato di nicchia, le materie prime hanno iniziato solo recentemente a occupare l'attenzione dei mass media e dei policymakers in scia ai violenti rialzi dei prezzi a cui si è assistito in realtà già a partire dal 2020. Dal petrolio ai metalli, al gas, ai microchip fino ai cereali e al frumento, il rally partito con la ripresa prosegue.
Aumenti vertiginosi - Solo per dare un'idea: il Bloomberg Industrial Metals Index segna dal marzo dello scorso anno a oggi un rincaro dell'85%. Dinamica simile ha investito il petrolio balzato dal minimo dei 15 dollari al barile nell'aprile 2020 agli attuali 70 dollari al barile, dopo aver toccato qualche settimana fa gli 86 dollari al barile.
Ancora più estrema la performance dei beni energetici con il gas naturale che nel mercato europeo segna una vera e propria impennata del +383% solo dall'inizio dell'anno. Inevitabile l'impatto nella vita di tutti i giorni: l'aumento generalizzato dei prezzi energetici si sta infatti traducendo nel forte rincaro della bolletta che comporterà un cospicuo esborso da parte dei governi e dunque un impatto sui conti pubblici.
Ma, quali sono gli scenari futuri per i prezzi delle materie prime? L'aspettativa generale è che nel corso del 2022 la fase rialzista dovrebbe attenuarsi per lasciare spazio a un generale raffreddamento. Tuttavia, esiste una linea di pensiero minoritaria (ma che va detto finora ha centrato le previsioni) che evidenzia come invece il comparto delle commodities abbia intrapreso un trend rialzista di natura strutturale.
Sul fronte delle materie prime industriali (metalli e petrolio) gli esperti evidenziano come a sostenerne i prezzi su di un livello elevato continueranno a giungere i copiosi stimoli fiscali. Dallo scoppio della pandemia nei paesi Ocse sono ammontati a 12 mila miliardi di dollari. Per quanto riguarda il petrolio e i beni energetici gli analisti sono generalmente concordi nel ritenere come gli ambiziosi target di riduzione delle emissioni di carbonio continueranno a disincentivare gli investimenti in nuova capacità in energia fossile, mantenendo tesa l'offerta.
Il prezzo del gas - L'effetto più evidente è nel prezzo del gas naturale balzato in Europa fino a 150 euro/megawattora nel mese di ottobre. Sempre secondo le stime di BloombergNEF le scorte di gas naturale in Europa rischiano di arrivare a un livello critico di 4,4 miliardi di metri cubi alla fine dell'inverno nel caso in cui il gasdotto NorthStream2 non venisse certificato e le temperature dovessero rivelarsi più rigide del previsto.
Le politiche climatiche continueranno a far sentire i propri effetti anche all'interno del comparto dei beni agricoli come il frumento che veleggia attualmente sui livelli record di 300 euro la tonnellata. E una fotografia efficace del blackout tra domanda e offerta giunge dal settore della logistica con il costo del nolo di un container da 40 piedi, che per la tratta Cina-usa ha toccato nei mesi scorsi vette superiori ai 20 mila dollari rispetto ai tremila dollari dell'estate 2020 e che è il principale responsabile del chip crunch che sta mettendo in ginocchio i gruppi automobilistici.
Il problema dei trasporti - Oltre alla carenza di navi e container, l'elemento che manterrà tesa l'offerta di semiconduttori continuerà a ruotare attorno alla strategia Covid-zero, adottata non solo dalla Cina ma dalla maggior parte dei Paesi asiatici, che spesso si traduce nell'obbligare una nave in arrivo dall'estero a seguire un periodo di quarantena di una settimana prima di poter attraccare in porto e che verrà mantenuta fino a quando il virus rimarrà un'emergenza sociale.