Secondo Sergio Ermotti sono ormai «inevitabili».
C'è anche chi avverte: non si risolvono così i problemi, servono nuove strategie.
ZURIGO - Mega-fusioni bancarie in vista sul continente europeo? L'idea trova nuova linfa nelle ultime dichiarazioni dei dirigenti di Credit Suisse (CS) e Deutsche Bank. «Avrebbero senso», affermano i primi. «Ci stiamo preparando», dicono i secondi.
«Hanno molto senso» - In una conferenza con gli investitori, il Ceo di CS Thomas Gottstein ha detto di aspettarsi che il consolidamento del settore continui. I tassi d'interesse negativi stanno mettendo sotto pressione i proventi degli istituti e allo stesso tempo in molti paesi vi sono ancora troppe banche, ha detto il 56enne.
D'altra parte le operazioni transfrontaliere e persino le fusioni all'interno di una sola nazione sono ora più complicate di prima, perché sussiste una resistenza nei confronti delle grandi banche, vista la problematica del Too big to fail (troppo grandi per fallire). «Vediamo, come le cose si svilupperanno», ha chiosato Gottstein. «Ma in linea di principio le fusioni hanno molto senso».
Nelle stesse ore sul tema si è espresso anche James von Moltke, responsabile delle finanze di Deutsche Bank. «Siamo concentrati sull'attuazione della nostra strategia e crediamo che questa ci prepari alle fusioni, quando dovesse essere il momento giusto e si presentano le giuste opportunità», ha affermato in un evento online per gli investitori.
L'istituto sta «lavorando sodo» per prepararsi a un'ondata di unioni nel ramo, ha aggiunto il manager. «Il consolidamento acquisterà slancio in Europa», ha proseguito. A suo avviso la logica industriale che sta dietro alle fusioni bancarie è molto forte. Ma le acquisizioni sul mercato interno rimangono difficili: nel 2019 la Deutsche Bank aveva esaminato un possibile matrimonio con Commerzbank, ma i colloqui erano stati interrotti dopo poche settimane.
Non fusioni, ma nuove strategie - A raffreddare gli ardori ci ha pensato però Raimund Röseler, direttore esecutivo del Bundesanstalt für Finanzdienstleistungsaufsicht (BaFin, la Finma tedesca). Le fusioni possono aiutare ad abbassare i costi e aprire la strada verso un aumento dei prezzi, certo: «Ma crediamo veramente che i problemi del mercato bancario tedesco si risolveranno, se invece di 1400 istituti ne avessimo 700 o 500?», si è chiesto lo specialista. «Io non lo penso».
Secondo Röseler - che ha parlato a un evento a Francoforte e le cui dichiarazioni sono riportate, come tutte le altre, dalla Reuters - le banche farebbero meglio a pensare a nuove strategie. I costi, nel confronto con altri paesi, sono troppo alti se paragonati agli introiti.
Svizzera al centro del dibattito - Il tema è assai attuale anche in Svizzera. A essere al centro dell'attenzione dei media è soprattutto UBS: il blog Inside Paradeplatz ha parlato di colloqui con Credit Suisse in vista di possibili nozze. Da parte sua secondo altre testate l'istituto guidato (ancora per poche settimane) da Sergio Ermotti punterebbe a una grande banca europea: l'elenco delle fidanzate comprenderebbe Deutsche Bank, la britannica Barclays e la francese BNP Paribas. Non sarebbero però ancora state avviate trattative concrete.
Ermotti: «Sono inevitabili» - Il presidente uscente della direzione di UBS Sergio Ermotti vede di buon occhio il valzer di fusioni bancarie che sembra prospettarsi in Europa. «Il treno ha ormai già lasciato la stazione, il consolidamento è inevitabile», ha detto il manager luganese. «E questo è un bene per i mercati».
Di per sé la grandezza non ha importanza: decisivo è però essere grandi in settori dove sia possibile creare un valore aggiunto sostenibile per gli azionisti, ha argomentato il 60enne in una conferenza degli investitori di Bank of America di cui riferisce la Reuters.
Secondo Ermotti in passato il dibattito in Europa è stato troppo dominato dal tema dei rischi che le grandi banche comportano per il sistema finanziario. Troppa poca attenzione è invece stata prestata al fatto che gli istituti possono essere anche troppo piccoli per rimanere competitivi. Al più tardi con la crisi del coronavirus si è però assistito a un cambio di mentalità.
Sempre agli occhi del dirigente di UBS, le autorità di regolamentazione sono pronte a riesaminare tali questioni. «In questo senso, non credo che i regolatori siano di per sé un ostacolo: negli ultimi mesi si sono al contrario dimostrati molto disponibili a essere aperti nei confronti di cose che hanno un senso», ha osservato Ermotti. Naturalmente devono fermare quelle che un senso non l'hanno.