Il maggior compratore nel 2020 è stata la Danimarca, seguita da Germania e Indonesia
È stata lanciata un'iniziativa per ridurre le esportazioni in determinati Paesi, e c'è già un controprogetto
BERNA - La aziende svizzere nel 2020 hanno esportato il 24% in più di materiale bellico su base annua.
Con l'autorizzazione della Confederazione, i prodotti sono stati trasferiti in 62 Paesi diversi per un valore totale di 901,2 milioni di franchi, contro i 728 milioni del 2019.
L'incremento di 173,2 milioni è da attribuire in particolare a grossi ordini da Danimarca (veicoli blindati), Indonesia (sistemi di difesa antiaerea), Botswana e Romania (veicoli blindati), si legge in un comunicato odierno della Segreteria di stato dell'economia (Seco). I 901,2 milioni equivalgono allo 0,30% dell'export totale delle industrie elvetiche, il dato più alto di sempre, ha spiegato la Seco a Keystone-ATS.
Fra i maggiori importatori di materiale bellico svizzero nel 2020 si sono piazzati Danimarca (con 160,5 milioni di franchi), Germania (111,8 milioni), Indonesia (111,6 milioni), Botswana (84,9 milioni) e Romania (59,2 milioni). Il 62% delle armi è stato inviato in Europa, mentre in Asia è stato spedito il 18,8%. Seguono Africa (9,6%), America (8,5%) e Australia (1,1%).
GSsE: «Questi buoni affari sono scandalosi»
Secondo il Gruppo per una Svizzera senza Esercito (GSsE, noto anche con la sigla tedesca GSoA) è problematico il fatto che fra i Paesi in cui vengono esportate armi ci siano anche Stati in guerra in Medio Oriente, o realtà come l'Indonesia o il Brasile, con problemi per quel che riguarda i diritti umani.
In un comunicato, l'organizzazione definisce «scandaloso» il fatto che in un anno di pandemia si siano raggiunti addirittura risultati record nel settore bellico. Con tale politica, la Svizzera si rende «complice di gravi violazioni dei diritti umani, senza contare che favorisce sanguinosi conflitti».
Iniziativa contro l'esportazione
Questa situazione «rende ancora più importante» l'iniziativa "Contro l'esportazione di armi in Paesi teatro di guerre civili (Iniziativa correttiva)", ha sottolineato il GSsE. L'iniziativa, che ha raccolto 126'355 firme valide in soli sei mesi, vuole fissare nella Costituzione il diritto per Parlamento e popolo di avere voce in capitolo nella vendita all'estero di materiale bellico.
Proprio la scorsa settimana il Consiglio federale ha invitato le Camere a respingere la proposta di modifica costituzionale. È stato però messo a punto un controprogetto che prevede un inasprimento delle prassi in materia.
Il controprogetto si situa a metà strada: prevede che i criteri di autorizzazione vengano sanciti a livello di legge. L'inserimento di tali esigenze nella Costituzione, come chiesto dall'iniziativa, priverebbe infatti il Consiglio federale e il Parlamento «della competenza necessaria per adeguarli», secondo il governo.