La docente Amalia Mirante analizza il nuovo rialzo del tasso guida dall'1,0% all'1,5%, con uno sguardo alla spesa delle famiglie.
LUGANO - «La Bns ha mostrato un certo grado di sicurezza e indipendenza dai fatti relativi all'acquisizione di Cs da parte di Ubs. Certo penso che poteva starci anche un aumento dello 0,25% ma questa decisione avrebbe potuto essere letta come influenzata dalla turbolenza finanziaria. Invece il messaggio della Bns è chiaro: noi andiamo avanti e quello che è accaduto non è così rilevante. Il tutto chiaramente nell'ottica di tranquillizzare i mercati».
Amalia Mirante, economista e docente universitaria spiega così la scelta odierna della Banca nazionale svizzera (Bns) di aumentare il suo tasso guida dall'1,0% all'1,5%.
Professoressa Mirante, quale il possibile impatto sulle ipoteche?
«È probabile un incremento non immediato dei tassi ipotecari. Ma per il momento quest'ultimo è graduale. Inoltre non è di ampia portata, inaspettato e quindi non gestibile. Da un punto di vista macroeconomico un tasso a dieci anni del 2,5-3% è sano e ci sta. Direi piuttosto che era anomalo avere tassi negativi o estremamente bassi, penalizzando il i risparmio e creando così distorsioni, penso ad esempio ai rendimenti delle casse pensioni. La gradualità degli incrementi va a tutela sia dei cittadini già indebitati a tassi più bassi ma soprattutto di quelli nuovi, che sono informati e conoscono la realtà».
Come può incidere sul bilancio delle famiglie questo nuovo inasprimento della politica monetaria?
«Oltre al costo dei generi alimentari (+6,5% febbraio 2023 rispetto allo stesso periodo dell'anno precedente), a incidere sul portafoglio delle famiglie sono e saranno soprattutto le spese energetiche e per alloggio. Senza dimenticare quelle legate ai costi della cassa malati, anche se non contabilizzate nel paniere dell'inflazione. Certo che questi aumenti colpiscono tutti ma per una buona fetta della popolazione sono sopportabili e sostenibili. Mi riferisco ai percettori di salari indicizzati. Bisognerà invece poi intervenire su di chi potrebbe essere colpito in misura maggiore, anche già nel breve e medio termine, come nel caso dei bassi salari e delle rendite Avs».
L'inflazione in Svizzera è in salita e a febbraio si è attestata al 3,4%, più di quanto si aspettassero gli specialisti e il tutto nonostante il terzo step di stretta monetaria (tassi da 0,50% a 1,0% il 15 dicembre). Non c'è il rischio di frenare l'economia (più alti tassi e meno investimenti) senza incidere efficacemente sull'inflazione?
«L'impatto delle misure di politica monetaria non lo vediamo immediatamente e ci può stare che ancora non si veda una riduzione dell'inflazione. Ci vorrà un po' di tempo. Certamente c'è un rischio di rallentamento dell'economia, con quel che ne consegue di riduzione del Pil e di conseguenti licenziamenti. Ma i danni da inflazione sono senz’altro maggiori rispetto a quelli di un rallentamento congiunturale, visto che poi l'economia ripartirà».
Quella svizzera è dunque un'inflazione indotta, cioè che ci rimbalza addosso dal contesto mondiale, guerra e crisi energetica ad esempio? Oppure ce n'è una fetta dovuta al nostro contesto domestico?
«I segnali che una certa inflazione fosse in arrivo risalgono già al settembre precedente all'inizio della guerra, probabilmente dovute alle decisioni urgenti in risposta alla crisi Covid. Certamente poi a seguito del conflitto, il peso della crisi energetica è stata dominante ma oggi, e mi riferisco ai dati dello scorso febbraio, ad aumentare non sono stati solo i prezzi relativi ai beni importati (+4,9%) ma anche quelli dei prodotti domestici, che sono cresciuti di un +2,9% ».