Il regista, geniale e controverso, compie oggi 90 anni. Ne ripercorriamo la lunghissima carriera in una manciata di momenti
Oggi Roman Polanski compie 90 anni. Regista tra i più grandi della storia della Settima arte e personaggio controverso, sia come vittima (l’omicidio della moglie Sharon Tate da parte della Manson Family) che come carnefice (l’abuso della 13enne Samantha Geimer nel 1977, che ne ha provocato l’esilio volontario lontano dagli Stati Uniti). Se queste vicende gettano un’ombra sull’uomo, come regista il Polanski più ispirato ha mostrato vette più che notevoli.
Ripercorriamo qui la sua carriera in cinque momenti.
Rosemary’s Baby (1968)
Probabilmente il film maledetto per antonomasia (anche per via di ciò che sarebbe accaduto l’anno successivo). Quello che ha camminato per primo per consentire ad altri capolavori dell’horror psicologico - con L’Esorcista in prima fila - di correre. Rosemary’s Baby è il senso di pericolo costante; la storia di una coppia di giovani sposi (Mia Farrow e John Cassavetes) che darà alla luce l’Anticristo. Polanski trae la sua linfa dall’omonimo romanzo di Ira Levin, ne cura regia e sceneggiatura, e ne fa la sua carta d'imbarco per il cinema a stelle e strisce.
Chinatown (1974)
Molti lo considerano, e a ragione, il capolavoro di Polanski. Il critico David Thomson lo racconta meravigliosamente nel suo capolavoro “La formula perfetta” e basterebbe rimandarvi alle sue pagine. Ci basta aggiungere la spregiudicata Los Angeles della seconda metà degli anni ‘30, una spirale di corruzione (materiale e morale), violenza e morte - e un fantastico Jack Nicholson.
L’inquilino del terzo piano (1976)
Prima schernito, poi diventato una sorta di oggetto di culto. L’inquilino del terzo piano vede Polanski nella duplice veste di regista e attore protagonista. È strambo, grottesco… diciamo pure kafkiano. Trelkowski, l’inquilino, suggestionato dagli affittuari e dalla sua follia, inizia a non distinguere più la sua vita da quella della precedente inquilina dell’appartamento. In trappola in una quotidianità che diventa incubo.
Il pianista (2002)
Tre premi Oscar per una delle più toccanti e potenti opere cinematografiche ambientate durante la Seconda guerra mondiale. Polanski riversa tutto il dolore della sua infanzia (la madre fu uccisa ad Auschwitz) nel racconto del musicista ebreo che lotta per sopravvivere dopo la distruzione del ghetto di Varsavia. Un film straordinario sotto molti punti di vista, a partire dall’interpretazione di Adrien Brody.
L’ufficiale e la spia (2019)
La rigorosissima ricostruzione dell’affaire Dreyfus di Polanski si avvale delle interpretazioni di Louis Garrel (Dreyfus) e Jean Dujardin (Picquart) e mette in mostra la persecuzione dell’ufficiale accusato ingiustamente di alto tradimento. Nel racconto c’è il trasporto di chi sente di essere, almeno in un certo senso, nella medesima posizione. I premi César ottenuti nel 2020 hanno suscitato scandalo (si era in pieno #MeToo).