Il bellissimo documentario di Dominique Margot è un viaggio alla scoperta dei luoghi dove sorgono i giganti delle Alpi
ZURIGO - Dentro una cabinovia che sale verso le vette assieme con una danzatrice giapponese che non parla inglese: è lì che lo spettatore si trova a inizio viaggio, il viaggio del bellissimo documentario di Dominique Margot "Le montagne vivono", venendo catturato nella pantomima surreale della turista venuta da Oriente.
Si sale con lei e sospesi sul "dolly" dell'impianto a funi, l'avvicinamento al Matterhorn Glacier dà già la sua maestosa evocazione di benvenuto dalle parti del paradiso, dove a rafforzare "l'ubicazione altra" c'è anche lo spirare del vento che solleva fumi nevosi.
La montagna non ha confini e questa è la bellezza dell'alpinismo - «La montagna non ha confini ed è questa la bellezza dell'alpinismo, come anche percepire che ci si sta allontanando dalla civiltà, passo dopo passo, mentre si sale. Prima ci sono strade asfaltate, poi un sentiero di ghiaia, poi meno case, poi più niente».
Solo costruzioni di natura, ci fa intendere, con le sue molte facce, perché «la montagna può essere magnifica ma anche crudele» racconta un alpinista.
I monti come una cultura vivente - Margot fa parlare più voci, dagli addetti del "gatto delle nevi" che di notte preparano le piste agli sciatori che poi le useranno, dagli scienziati agli alpinisti; attraverso i loro occhi scopriamo di quanti punti di vista diversi può essere costituita un'idea di montagna, per molti «cultura vivente», presenza viva, non un semplice ammasso roccioso.
Del resto per gli antichi questi posti un tempo erano la dimora degli Dei: l'esercizio di ritrovare il filo spirituale del passato è anche il moto di volontà che spinge la regista in questa impresa documentaristica. Fissa i suoni, i falsi silenzi, la voce dei monti, le pose degli animali al pascolo con le loro "voci", l'andamento parsimonioso che assume il racconto negli alpigiani come Luigi, natio di Rhemes-Notre-Dame, un villaggio di 78 abitanti chiuso fra due ali di pareti montuose dentro al Parco del Gran Paradiso.
Luigi, l'anziano abitante del villaggio valdostano di Rhemes-Notre-Dame - «Era un villaggio disabitato, ridotto a rudere - racconta - poi l'hanno restaurato, ma non gente del posto: turisti. La mia gioventù è stata al tempo del fascismo, non abbiamo proprio fatto fame, ma tante volte sì. Avevamo una mucca e un manzo e due o tre pecore. Per 40 anni ho fatto la guardia del parco e la mia vita è trascorsa a contatto con la natura e gli animali. E ho imparato tanto dagli animali, di più che dall'uomo».
I ghiacciai si sciolgono, le vette si sgretolano - La montagna, però, a causa del cambiamento climatico e dell'incuria politica mostrata dall'uomo verso le tematiche all'ambiente, vive uno dei suoi periodi geologici più difficili: i ghiacciai si stanno sciogliendo, le vette si stanno sgretolando. A registrare questa pericolosa digressione sono gli scienziati che salgono sulle vette e prendono scientificamente atto di tutto ciò. Così come gli alpinisti, che materialmente durante le loro ascensioni si sono accorti di come la vita dei ghiacciai sia molto diversa da un tempo. «Una volta il ghiaccio arrivava fino a qui, adesso è sparito» li si sente dire.
La morte in montagna: «Ma non è colpa sua, deve essere triste anche lei per quello che è successo» - Per chi la montagna rappresenta tutto «in pianura mi sento perduta, perdo il senso di orientamento, qui mi sento protetta» assistere a questa lenta morte non deve essere facile. Come ancor di più ricordare la morte in montagna di un compagno di vita e di cordata: commovente il modo in cui la giovane alpinista tratta la perdita avvenuta sulle pareti dell'Eiger.
«A volte penso che lo stesso Eiger deve essere triste per quello che è successo» dice. «Lo so, non si dovrebbe pensare alle montagne come a delle persone, ma non so...Molte persone mi chiedono: non hai rancore verso la montagna, perché in fondo ti ha portato via qualcosa di importante? Ma io penso sempre: forse è stato terribile anche per l'Eiger. Non credo che l'Eiger mi abbia tolto qualcosa, non può farci niente. Abbiamo deciso noi di andare».
Le anime dei ghiacci - Le anime dei ghiacci però tornano alla vita nello splendido affresco danzante che la regista tratteggia verso la fine del documentario: «Il giorno in cui tutti gli animali scomparvero dalla foresta la foresta esalò il suo ultimo respiro» ricorda la voce off.
L'ammonimento trova un'altra voce-seguace, stavolta "on": è ancora l'anziano abitante di Rhemes-Notre-Dame a dispensare parole di saggezza nel ricordare che «la montagna ha le sue leggi ma manda degli avvisi: un sasso che cade ha un significato, tre e poi quattro vogliono dire qualcosa di più».