"Dionysus", Dead Can Dance alle radici del mondo
Album estremamente ambizioso per il duo australiano, che parte dal mito greco e finisce per abbracciare tutto il pianeta
SYDNEY - Sei anni dopo lo splendido (e molto dark) "Anastasis" ecco di nuovo i Dead Can Dance. Il duo australiano non ha mai dato alle stampe un lavoro banale e meno che maniacalmente curato, eppure questo "Dionysus" porta Brendan Perry e Lisa Gerrard a un livello ancora più elevato.
Imperniato sulle «differenti sfaccettature del mito di Dioniso e del suo culto», l'album è diviso in due lunghi atti, rispettivamente di più di 16 e 19 minuti. C'è il mondo in queste suite: lo spunto è la mitologia greca, d'accordo, ma l'ambiente musicale è quanto di più vario si possa ascoltare su disco: strumenti a corda e a fiato che arrivano da tutta l'Europa, tamburi che sembrano provenire dalle viscere della terra, un incedere che porta dalle foreste del Sudamerica al muoversi tra la polvere che si leva dalle pianure mediorientali. Onde, pascoli, canti d'uccelli e quant'altro spunta tra i passaggi e le progressioni - sapiente opera di field recording - integra alla perfezione il quadro planetario che Perry e Gerrard (forse un po' sacrificata rispetto alle sue grandi potenzialità) sono andati a dipingere. Anche grazie a duetti nei quali le parole di una lingua inventata, «la lingua del Cuore», s'intrecciano a meraviglia.
I Dead Can Dance celebrano Dioniso, le feste del raccolto, la rinascita della primavera e lo fanno in maniera ricca e ipnotica. Un lavoro estremamente ambizioso, che non necessita però di numerosi ascolti per essere compreso. Anche se, ad ogni nuovo passaggio, sa offrire qualcosa di nuovo, che si svela improvviso.




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