La serie in costume reinventa l'Inghilterra georgiana ed è uno spasso da guardare, soprattutto durante le Feste
LOS ANGELES - Siamo nell' '800 inglese, nel cuore dell'alta società di Londra, e c'è una bellissima dama inglese che non vuole sposarsi (almeno non ancora) e un bellissimo gentiluomo che a impalmarsi proprio non ci pensa.
Non suonano certo particolarmente inedite le premesse alla base di "Bridgerton" il nuovo fenomeno di Netflix - prodotto da Shonda Rhimes (sì, quella di "Grey's Anatomy") - che porta sul piccolo schermo i temi tipici del romanzo femminile di quegli anni, da "Orgoglio e pregiudizio" fino a "Cime tempestose" senza dimenticare nemmeno "Piccole donne".
Punto focale di questa prima, lo abbiamo già accennato, il duo formato da Daphne Bridgerton e dal suo non-spasimante (ma chi lo sa), Simon Basset aka il Duca di Hastings. Tutto attorno a loro uno sfarfallare di matriarche, figlie/sorelle e bei tomi in cerca di amore (e non solo).
"Bridgerton", come altre produzioni contemporanee soprattutto di Netflix, ci tiene a rilocalizzare socioculturalmente il contesto di modo che sia il più inclusivo possibile e specchio della realtà globalizzata di oggi.
Non deve quindi stupire il trovarsi regina e cortigiani "afrobritannici", damigelle di origini latine e quant'altro. Se ai puristi questa cosa potrà andare un po' di traverso, agli altri non darà poi questo gran fastidio e - anzi - diventerà rapidamente pretesto per una maggiore ricchezza narrativa.
Malgrado giochi praticamente sempre sul sicuro, la serie è assolutamente godibile, e perfetta per questo periodo festivo. Girata e recitata bene, dà il meglio di sé fra abiti e fotografia e guardata con una tazza di te in una mano e un biscotto (o più) nell'altra.