Il cantautore Max Deste ha selezionato cinque ingredienti che sono andati a formare il suo nuovo Ep.
Un lavoro trascinato dall'omonimo inedito, storia di una coppia che trasforma un veleno in una risorsa preziosa.
LUMINO - La cifra 21 è l'elemento fondamentale del nuovo Ep di Max Deste. Il cantautore ticinese ha infatti intitolato "Antidoto 21" il suo ultimo lavoro, riferendosi sia all'anno in corso che al secolo che stiamo vivendo.
Il "rimedio" proposto nelle cinque canzoni raccolte è sia valido per questo secondo anno di pandemia che per le decadi che verranno, spiega Deste.
Che brani compongono questo Ep?
«L’inedito “Antidoto 21” che dà anche il titolo all’Ep. “Ho fiducia in te”, “Dolce far niente”, “Chiaroscuro” e “Qualcosa di magico”, che sono usciti a partire dall'autunno 2019».
Quali sono i cinque ingredienti che hai selezionato per comporre questo "Antidoto"?
«Cinque ingredienti per affrontare la confusione, la tristezza e il dolore degli ultimi tempi: Primo, non fissarsi sulle cose che non vanno, ma imparare a lasciare andare; secondo, aver fiducia in se stessi e negli altri; terzo, rallentare i ritmi e apprezzare i singoli istanti; quarto, accettare la diversità e quindi avere un pensiero inclusivo; quinto, riscoprire la magia della quotidianità».
Che puoi dirci dell'inedito "Antidoto 21"?
«È il brano più lungo. Racconta la storia di una coppia la cui relazione va in crisi durante la quarantena. I due s’immergono continuamente in situazioni dolorose, che riassumo con il verso “I fiori del male sono sbocciati, abbiamo commesso tanti errori…”. Si tratta di una scena individuale, specchio di quella collettiva. È la nostra società a essere in crisi. Ma c’è un lieto fine, e questo grazie alla capacità di non fissarsi sulle cose che non vanno, ma “Lasciando andare, il passato alle spalle”. Così i due affrontano i loro problemi, smettendo di coltivare il loro egocentrismo e ritrovando la gioia nel benessere dell’altro, apprezzando i piccoli gesti di affetto, come ad esempio un semplice abbraccio. I due amanti trasformano così quello appariva loro come un veleno (il confinamento), nel suo antidoto, cioè il riconoscimento che la vita è un dono raro e prezioso, e che non va sprecato per il proprio egoismo».
La soluzione che proponi è sufficientemente universale da essere valida per l'intero secolo?
«Questo Ep è stato concepito in un contesto difficile come quello della pandemia. Il nome stesso "Antidoto 21", composto da parola e numero, vuole essere una risposta ideale al Covid-19. Ma a mio avviso il problema della pandemia è solo uno dei tanti sintomi che caratterizzano questo periodo di crisi per l’umanità: ambiente, ingiustizie sociali, guerre, eccetera. Il vero problema resta che l’uomo soffre a causa del suo ego, e spesso non sa come venirne fuori. Dunque questi ingredienti ideali non si riferiscono solo al presente, ma più in generale al nostro futuro, quello che erediteranno i nostri (miei) figli, e dunque il ventunesimo secolo».
C'è un minimo comune denominatore, a livello musicale?
«Questo lavoro è certamente il mio più compatto e coerente. Ci sono meno esperimenti elettronici e al loro posto è sempre centrale la chitarra acustica. Potremmo dunque parlare di cinque ballate le cui strutture sono quelle tradizionali e semplici del genere pop. L’intento è quello di arrivare ancora di più al cuore delle persone. In questo senso i testi in italiano sono stati scritti prima delle musiche. Compongo con l’idea di scrivere prima una poesia e poi di confezionarle un vestito sonoro accattivante, per renderla ancora più accessibile al grande pubblico. In questo mi aiutano con gli arrangiamenti due ottimi musicisti come Roberto Colombo e Riccardo di Filippo, con i quali collaboro ormai da tre anni».
L'ultimo anno ti ha fatto cambiare parere sull'umanità?
«Questa malattia ha fatto emergere tutta una serie di problematiche umane, sociali, economiche che avranno ripercussioni per i prossimi anni. Dobbiamo pensare che ora abbiamo un’occasione straordinaria per ripartire su altri binari, rimettendo il benessere dell’uomo e quello dell’ambiente in cui viviamo al centro di ogni possibile visione. In conclusione, il mio convincimento, frutto della pratica della meditazione, è che l’uomo sia fondamentalmente buono…».