Il nuovo album del rapper, "Noi, loro, gli altri", è uscito da poco ma è già sulla bocca di tutti. La nostra recensione
MILANO - Come quando, oltre le acque dell’Atlantico, prendono la parola i Jay-Z, i Nas e i Kendrick Lamar, lo stesso accade alle nostre latitudini (o meglio ancora, longitudini) quando a parlare è Marracash: si sta in silenzio e si ascolta. Quarantatré minuti dopo la pubblicazione di “Noi, loro, gli altri” - questo il titolo del suo ultimo album, arrivato quasi a sorpresa venerdì scorso - il minimo comune denominatore dei giudizi era già più chiaro che mai: il Re è tornato. Una sintesi, possiamo confermarlo, che viene ratificata dagli ascolti successivi.
A due anni dall’acclamato “Persona”, il rapper abbandona quel punto di vista di stampo “tolemaico”, allargando lo sguardo oltre sé stesso. Qui ci sono i “Noi”, i “Loro” e “Gli altri”; un insieme di tasselli dai contorni sghembi che compongono, a loro modo, un ostico mosaico. Ed è da “Loro” che Marra inizia ad assemblare la sua riflessione sociale («Che darei per quindici minuti di privacy/E cosa fai per quindici secondi di fama?»), aprendo l’album con una serie di istantanee di brutale schiettezza («Ho visto un documentario ieri alla tele/che diceva che tra gli animali non c'è pietà/Non c'è male o bene, ma solo pranzi e cene»).
In “Pagliaccio” l’area di tiro si restringe per un attimo al solo ecosistema musicale. Introdotto dalle note dell’aria “Vesti la giubba” di Ruggero Leoncavallo, Marracash spara a zero sul rap in formato “fast food”, i suoi patroni e i loro “curriculum” farlocchi («Non fare il bellicoso che mi sbellico/Mezz'ora in caserma non fa di te Silvio Pellico»). Tra le teste su cui si posa il pallino rosso c’è anche quella del collega Fedez, che pur non venendo nominato in modo esplicito è bersaglio, nella massiccia “Cosplayer”, di alcune barre tutt’altro che subliminali («Dai rapper con il botox/Dal biondo patriota, sui social si prodiga per noi/Ma in realtà è il più merda come il Patriota in The Boys»). E con lui, nella linea di tiro di Marra ci finiscono tutti quelli che scelgono «solo le proteste monetizzabili»: «Chi cerca esposizione, bravo, hai vinto il premio Ignobel».
Sebbene rinunci a porre unicamente sé stesso sotto la luce, Marracash mette comunque nero su bianco il fatto di essere un predatore alfa del gioco; ma lo fa senza mai perdersi in banali ringhi. Al contrario, è proprio quando fruga nella cesta dei ricordi e intreccia racconti d’altri tempi alle stoffe pregiate di Marz e Zef che emerge la caratura del rapper. Personalmente non conosco Alessio, né tantomeno Nico e Dario; eppure sembra di essere proprio lì in loro compagnia, in un assolato pomeriggio tra le vie della Barona, quando rievoca in “Noi” l’adolescenza trascorsa nella periferia milanese; fatta di violenza, botte, problemi ma in qualche modo al contempo nostalgica, grazie alla complicità (non dichiarata) dei dolci toni di Joan Thiele. Un’adolescenza che torna anche in “∞ Love”, intrecciandosi all’amore nel duetto con l’amico Gué.
C’è l’amore per gli amici («Qualcuno in meno, qualcuno in cielo/Ho il cuore pieno, non voglio nuovi friends») ma anche quello romantico, con gli immancabili riferimenti alla storia, ormai conclusa, con la cantante Elodie, che trovano spazio in “Crazy Love”. Il brano sembra fare il verso, nel titolo, al celebre singolo dei primi Duemila di Beyoncé e Jay-Z, che suggellò pubblicamente la nascita della coppia dopo il “flirt” consumato in cima alle classifiche l'anno precedente con “‘03 Bonnie & Clyde”. Quando il quadro si asciuga però, i colori sgargianti («Ti muovi felina, Selina, Nikita, sai come tenere alta la sfida/L'amore per noi è fare una rapina e poi dividere la refurtiva, nina /Siamo troppo explicit, svegliamo i vicini, mama/Con quei tacchi e completini tu mi uccidi») della lussuria si assopiscono, e non potrebbe essere altrimenti, smorzati dallo scontro con la ricerca delle responsabilità. Un equilibrio precario che i due ex mettono in scena anche nel videoclip del brano, citando la performance artistica (“Rest Energy”) di Marina Abramovic e Ulay.
E infine ci sono "Gli altri". "Giorni stupidi" parla di loro. Parla di noi. Parla di tutti. E di ciò che sembra aver mandato in tilt questo "tutto" in cui tutti vivono. «C'è crisi, divise, divisi/Ritornano gli scippi, le rissе ai Navigli/Dopo due anni lontani richiami chi odiavi/Cambiamo i dizionari per i non binari/E a volte penso che non so cos'altro può succedere in quest'anni ormai /Ma mi rimane la sensazione/che più che un periodo è sbagliata la direzione». Punto e a capo. Con “Noi, loro, gli altri”, il rapper della Barona alza l'asticella. Di quanto lo dirà solo il tempo, ma si parla di vertigini. E mentre sono sempre di più quelli che si chiedono se Marracash sia uno dei migliori in assoluto nel panorama italiano (e non si parla solo di doppia acca), forse una risposta neanche serve. Il solo fatto di porsi la domanda basta e avanza.