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Il tema del doppio, in un viaggio senza mappe: benvenuti nell'universo dei Monte Mai

MUSICAIl tema del doppio, in un viaggio senza mappe: benvenuti nell'universo dei Monte Mai

03.02.23 - 06:30
"Eye Sea Double" è l'album di debutto della band, che nelle prossime settimane s'imbarcherà in una serie di show dal vivo
PETER HAUSER
I Monte Mai.
I Monte Mai.
Il tema del doppio, in un viaggio senza mappe: benvenuti nell'universo dei Monte Mai
"Eye Sea Double" è l'album di debutto della band, che nelle prossime settimane s'imbarcherà in una serie di show dal vivo

LUGANO - «Un viaggio intrapreso senza mappe», dove ognuno degli 11 brani «è un cambio di direzione». Parliamo di "Eye Sea Double", il primo e molto atteso album in studio dei Monte Mai. Il lavoro raccoglie i singoli già pubblicati - da "Fever Rays" a "Peaches and Limes", fino a "Blah" e "What You Wanna Know" in circolazione già dal 2020. L'album stesso sarebbe dovuto uscire nel marzo di quell'anno, se non ci fosse stata una pandemia in mezzo. "Eye Sea Double" sarà presentato dal vivo a partire dal 10 febbraio, con il concerto di Lugano presso La Straordinaria. Ne abbiamo parlato con Fabio Besomi (basso), che condivide il palco con la vocalist Anais Schmidt e con il cantante e chitarrista Fabio Pinto.

Il tema dominante dell'album è quello del doppio.
«È un elemento che abbiamo voluto cristallizzare fin dal titolo. Quando ci siamo trovati con così tanti pezzi - e di generi diametralmente opposti - ci siamo detti: "Caspita, qua ci sarebbe quasi da fare due dischi". Invece abbiamo deciso di trovare un'anima comune ed è venuto una sorta di concept. Una volta trovato il nome, i grafici si sono messi al lavoro e da qui l'occhiale e il dualismo tra una realtà apparente e un'altra più profonda».

Quindi la vostra è la ricerca di ciò che appare agli occhi ma anche di ciò che si nasconde nella profondità delle cose?
«Esattamente. Sia musicalmente che con queste geometrie serigrafate che troviamo nel disco. Quindi l'occhiale della copertina: lo togli e si spalanca la grafica intera (e si apre un mondo e si coglie un altro tipo di realtà, in fondo)».

Il lavoro grafico si apprezza in pieno con le copie fisiche dell'album, poi c'è anche del merchandising molto interessante.
«Nasce con i due artisti Sidi Vanetti e Andreas Gysin. Loro sono molto lanciati nell'universo della crypto-art ma, in questo caso, si è tornati a una dimensione analogica. Si è preso spunto da questi elementi legati a una visione minimalista del mondo della grafica (Munari e così via) e tutto è stato serigrafato a mano, con strumentazioni degli anni '30. Anche qui torna il tema del doppio: grafiche un po' "spinte", quasi digitali, ma realizzate in un contesto manuale. Sono molto geloso di quei 300 vinili, sono diventati qualcosa di più di un semplice album musicale. Quasi fai fatica a staccartene...».

L'occhiale è un elemento assolutamente iconico...
«Tempo fa gli artisti hanno ritirato questi occhiali di protezione, realizzati credo negli anni Sessanta con quella mania svizzera delle cose realizzate in maniera più che solida. Le lenti sono staccabili e abbiamo trovato dei professionisti di Zurigo in grado di serigrafarci sopra».

Dei singoli abbiamo già parlato. Tra le altre tracce mi ha colpito particolarmente "Dig".
«È il mio preferito. È uno dei primi pezzi che io e Fabio abbiamo scritto, nel 2018 o 2019. Con Aris Bassetti, che produce il nostro spettacolo live, abbiamo deciso di proporre il brano (solo questo) con un arrangiamento più semplice - per chitarra, voce e basso. Molto lontano da quello barocco del disco, pieno di cambi, ma molto intenso: togliere tutto tranne il cantato di Fabio e Anais ha fatto uscire la vera identità di questo pezzo».

"Moody Moon Man", invece, è dominata da un basso incalzante.
«È nato nella fase più recente e parla di un personaggio reale: un amico - che non sa che il pezzo è dedicato a lui - che gira l'Europa con il suo camper, estremamente generoso. Vive la sua vita in modo molto semplice, eppure ogni tanto ha i suoi momenti "lunatici", di riflessione anche un po' severa sulle cose della vita».

"Eye Sea Double", così come lo sentiamo oggi, ha richiesto molto lavoro?
«Tutto il tempo che abbiamo avuto per produrre questo disco ci ha costretti a rivedere un po' i pezzi, che sono stati riarrangiati, smontati e rimontati. Tante volte è anche bello "liberarsi" un po' delle canzoni, partorirle e lasciarle come sono. Noi invece spesso le abbiamo riprese e snaturate. Non so se sia una cosa positiva o negativa... C'è una doppia identità anche nella produzione: sette tracce su 11 sono state co-prodotte da Aris Bassetti - che, da osservatore esterno, ci ha fatto senza dubbio da guida. Le rimanenti abbiamo voluto svilupparle noi, con uno sguardo più intimo». 

La parte cantata è evocativa ma collaterale rispetto a quella strumentale, tanto che parlate di «linee vocali dinoccolate stile filastrocche psichedeliche»...
«È la cifra che è uscita, quella del non voler cercare a tutti i costi la melodia auto-celebrativa. Poi magari in futuro sarà diverso, ma per ora è così».

Come decidete se in un brano deve essere cantato da Anais o è più adatta una voce principale maschile?
«Accade istintivamente. Ci siamo accorti subito che i due timbri si sposavano benissimo, tanto da crearne quasi uno nuovo, di sintesi. Tanto che all'inizio usavamo degli strumenti per accoppiare perfettamente il registro. Poi ci siamo resi conto che il risultato era fin troppo "plastico", la freschezza (e le imprecisioni) le vogliamo... Anche qui c'è l'elemento del doppio che ritorna».

 
 
 
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