Un viaggio fisico e anche interiore per il mini-album di kandrax, fatto di un pop che risuona di elettronica e industriale
BRISSAGO - Un mini-album, "Strade Secondarie", composto da sette brani legati tra loro, tra le altre cose, dal tema del viaggio. Sia in senso fisico che metaforico, interiore. È il nuovo lavoro di kandrax, produttore ticinese che ha voluto raccontare la speranza, il desiderio di cambiamento e la possibilità di una vita meno convenzionale, con riferimenti alla quotidianità e al territorio.
Per le liriche ti sei basato su tuoi scritti di qualche anno fa.
«Quasi una trentina, in realtà. Erano appunti, poesie, di quando ero un giovane uomo. Durante l'università la mia paura più grossa era di non avere la minima idea di quello che avrei fatto dopo. "Non troverò mai quello che mi piace", dicevo. Lì è nata l'idea della strada, del cammino. Anche se in una chiave abbastanza angosciante».
La storia di un giovane alla ricerca del percorso giusto per lui, come accade a tanti.
«Un ammasso di catrame che poi diventa cammino. Il catrame simboleggia proprio le conoscenze e le nozioni che accumuli. All'inizio magari non sai che fartene, ma poi ti accorgi che le puoi spalmare e diventano una strada da seguire».
Hai dovuto rimaneggiare molto quei testi, oppure condividi ancora oggi quello che pensavi allora?
«La cosa sorprendente è l'essermi reso conto di essere, oggi, nella stessa situazione di allora. Si tratta adesso di un lavoro che penso non sia quello giusto per me. Ma a 50 anni è difficile trovarlo, o cambiarlo. Quindi sì, testi assolutamente attuali, mantenuti quasi identici».
Perché hai scelto di affidarti a voci femminili?
«Per mettere una certa distanza tra me e quelle parole. All'inizio non ne sentivo così tanto il bisogno, ma mi è servito per sottolineare come fosse qualcosa che veniva dal passato. E per dare un tocco di universalità: quelle sono sensazioni che condivido con molti altri».
Non sono testi consueti, per il pop del 2024. La possiamo considerare una sfida, una scommessa?
«Più che una sfida, l'ho sentito come un bisogno personale. Io sto facendo un percorso un po' particolare: ho iniziato a fare musica solo 3-4 anni fa, qualcosa si è sbloccato in me e sto scrivendo tantissimo. Ho tonnellate di materiale».
C'è un minimo comune denominatore in tutta questa produzione?
«Credo che la coerenza sia uno degli indicatori di successo, nelle persone. Ascoltare tre secondi di una canzone e associarla a un nome. Un personaggio coerente e musica riconoscibile. Ecco, questa cosa non mi calza per niente».
Tu, invece, come sei?
«Sono uno che ascolta sia musica intellettuale che di m...a, capisci? E voglio fare la stessa cosa, creare brani in apparente contrasto - ma che fanno comunque parte di me. Al limite tra vent'anni, dopo che avrò pubblicato un sacco di dischi, si dirà: "Era molto coerente nella sua incoerenza" (ride, ndr)».
Si nota un cambiamento nelle tue scelte musicali. C'è più elettronica, più industriale rispetto a tuoi lavori precedenti orientati più su pop e dance.
«Ho un debole per quel tipo di musica. Ambivo ad avere un pop apparentemente semplice, ma con dei suoni industriali. Alla fine sono un figlio dei Depeche Mode e di tutti quei gruppi che si ricollegano a loro».
Che lavoro è?
«È un disco denso, il sentimento che c'è alla base è simile all'oppressione, ma con la voglia di liberarsi. Tutte le canzoni hanno qualcosa di positivo, indicano una via d'uscita. L'idea del titolo è che, se non riesci a trovare una strada maestra, non ti devi preoccupare: ci sono un sacco di strade secondarie che ti porteranno sempre dove devi andare».
Voci a parte, questa volta hai fatto tutto tu. Qual è stata la difficoltà maggiore?
«Capire se era roba pubblicabile oppure no (ride ancora, ndr). Magari non è musica fatta come gli altri se l'aspettano, ma è come io volevo che fosse fatta».
Il 25 ottobre uscirà poi una Deluxe Edition di “Strade Secondarie” con altri sette brani, che riprendono gli stessi temi ma dal punto di vista del kandrax “adulto”. Cantati, questa volta, da voci maschili.