Lettera aperta al Consiglio di Stato
Onorevoli Consiglieri di Stato,
in relazione al nuovo Coronavirus sosteniamo il vostro operato che, al fine di contenere il più possibile le conseguenze sanitarie e socioeconomiche causate dal Covid19, ha fin qui adottato misure coraggiose ma indispensabili per tutelare in primis la salute di tutta la popolazione.
Siamo ben coscienti che la pandemia che ha colpito anche il nostro Cantone non sarà debellata né a breve né a medio termine, così come del fatto che il Governo si sia adoperato - fin dalla conferma del primo caso di Coronavirus in Ticino - con tutti i mezzi a sua disposizione per cercare di far fronte a questa situazione.
Uno scenario, quello con il quale siamo a tutt’oggi confrontati, che fino al mese di febbraio era assolutamente imprevedibile e inimmaginabile. Inutile negare, e non è una colpa, che questa pandemia ci ha colti impreparati, così come tutte le altre regioni e nazioni colpite dal Covid19.
Forse, considerati i segnali e le notizie provenienti, fin dai primi giorni di febbraio, dall’Italia, e in particolare dalla vicina Lombardia, e prima ancora, dalla Cina, si sarebbe potuto reagire con maggiore tempestività, sia a livello federale che a livello cantonale. Tuttavia siamo dell’avviso che il Consiglio di Stato abbia agito con spirito fortemente pragmatico e razionale, facendo capo agli strumenti - per certi versi limitati - che la democrazia gli mette a disposizione. Lo stato di necessità decretato l’11 marzo scorso e prorogato fino ad almeno fino al 31 maggio 2020 ci mostra chiaramente quanto la situazione sia ben lungi dall’essere risolta.
In queste settimane, mentre la popolazione ticinese sta dimostrando uno spiccato senso di responsabilità e disciplina, molti professionisti e volontari sono al servizio costante della collettività. In questo senso, intendiamo ringraziare ed elogiare l’operato di chi, in questo periodo particolarmente intenso per gli operatori sul campo, è impegnato al fronte in prima linea: a partire dai medici, gli infermieri, gli inservienti, gli agenti di polizia, i militi dell’esercito e quelli della protezione civile, i volontari, i docenti, i commercianti, gli agricoltori, ecc ecc, e non da ultimo, la popolazione tutta.
Tutti stiamo facendo piccoli o grandi sacrifici; drammi con i quali sono confrontati, per esempio, coloro i quali da un giorno all’altro si sono visti azzerare le proprie entrate economiche oppure, peggio ancora licenziare dal proprio datore di lavoro. Ma anche chi è costretto a convivere con la paura per il proprio futuro professionale. Per non dimenticare chi, invece, sta vivendo con ansia e grande dolore questo periodo, in particolar modo chi è stato o è attualmente confrontato con un dramma inedito quanto brutale: quello del doversi separare in maniera brusca da un proprio caro perché affetto da Covid19, e, nel peggiore dei casi, dover apprendere della sua dipartita senza nemmeno poterlo congedare in maniera dignitosa dalla vita terrena per via di comprensibili misure d’igiene precauzionali.
Il Consiglio di Stato sta ragionevolmente allentando le misure tuttora in essere, proseguendo nella riapertura a tappe delle attività economiche. Un aspetto questo in parte condiviso e ritenuto importante in quanto non ci possiamo permettere uno stop incondizionato delle attività economiche - considerato che vi saranno meno introiti e più spese a carico dello Stato - a condizione però che ci si appelli al pragmatismo e alla razionalità.
Il motivo è presto spiegato: la nostra più grande preoccupazione è che una riapertura troppo rapida di tutte le attività potrebbe generare un problema concreto in particolare in relazione all’afflusso di lavoratori frontalieri. Considerato che, come noto, in Italia l’emergenza sanitaria è di gran lunga più elevata rispetto al Cantone Ticino, ecco che lo spalancare di nuovo le porte a 70 mila frontalieri contribuirebbe in maniera significativa ad alzare il livello di rischio di contagio per tutta la nostra popolazione.
Inoltre, a nostro avviso non meno importante e strettamente collegata, vi è la questione legata al forte aumento di traffico pendolare che porterebbe di nuovo al caos le nostre strade e autostrade, in particolare quelle del Mendrisiotto e del Luganese. Senza contare che, a causa dell’attuale situazione sanitaria, i già pochi frontalieri che prima facevano capo al trasporto pubblico, con ogni probabilità e per diverso tempo, decideranno di utilizzare il veicolo privato rinunciando anche al car pooling, e aggravando ulteriormente la situazione viaria.
Pertanto, se da una parte riteniamo corretto e opportuno che tutte le forze politiche e l’Amministrazione cantonale si concentrino sul rilancio economico, dall’altra, crediamo sia assolutamente inopportuno, in questo momento, procedere alla riapertura delle scuole in Ticino a partire dall’11 maggio. A questo proposito, il responsabile della Divisione malattie trasmissibili all’Ufficio federale della sanità pubblica, Daniel Koch, in occasione della conferenza stampa del Consiglio federale aveva dichiarato che i bambini, soprattutto i più piccoli, sarebbero “poco toccati dalla malattia, spesso non si ammalano e non sono vettori di diffusione dell’epidemia”. Un’affermazione, questa, in palese contraddizione con quanto dichiarato solo poco dopo e ribadita poi più volte dal Medico cantonale Giorgio Merlani il quale ha spiegato che quanto dichiarato dal dottor Koch non è una cosa che si può affermare con assoluta certezza e che occorre dunque cautela.
È inutile negare che siamo confrontati con dei bambini, per loro natura esuberanti, e che appena rivedranno i loro compagni cercheranno di riallacciare i contatti, cosa che può essere pericolosa in questa circostanza. Ci piacerebbe che ci venisse fornita una certezza, o almeno una verosimiglianza, che l’impalcatura regga. Il rischio contagio è sempre dietro l’angolo.
Sulla base di questi elementi riteniamo auspicabile che le scuole rimangano chiuse fino alla fine dell’anno scolastico e che riaprano nel mese di settembre, con modalità di sicurezza e tutela della salute da definire attentamente, implementando ulteriormente l’apprendimento a distanza (che in queste settimane si sta rivelando efficace), continuando però a garantire il servizio accudimento come finora (valutando magari altre forme per un potenziamento e il prolungamento durante l’estate se necessario).
Le ragioni della nostra richiesta che indirizziamo al Lodevole Consiglio di Stato sono presto spiegate: il decidere di rimettere in circolazione e dunque riportare nelle aule scolastiche ticinesi 35 mila allievi delle scuole dell’obbligo (scuole dell’infanzia, scuole elementari e scuole medie) - anche se fosse vero che non è rischioso per la loro salute - lo è di fatto per coloro con i quali verrebbero a contatto, ovvero gli adulti, i docenti e i genitori che dovranno tornare al lavoro, che a loro volta frequentano colleghi e parenti più anziani e dunque maggiormente a rischio. Una catena pericolosa di contatti che genererebbe un ulteriore forte rischio di contagio per i nonni di questi ragazzi ai quali verrebbero comunque affidati dai propri genitori a partire da metà giugno; dunque potenziali vettori del virus che potrebbero infettare anche le cosiddette categorie a rischio quali anziani e adulti con patologie pregresse. Aprire le scuole l’11 maggio prossimo - e quindi per soli 26 giorni effettivi di lezione - significherebbe mettere seriamente e inutilmente a repentaglio la salute della popolazione e, cosa questa non meno grave, tornare a sollecitare in maniera importante e pericolosa il sistema sanitario, già fortemente sollecitato per rispondere alle inevitabili conseguenze che un allentamento delle restrizioni in campo economico causeranno, quando, come dichiarato in questi giorni dagli esperti, nelle prossime settimane dovremo comunque attenderci una nuova significativa onda di contagi. Considerato inoltre che: nelle ultime settimane di un anno scolastico i ritmi si riducono, risultano ben 4 giorni di vacanza ufficiali (21 e 22 maggio, 1. e 11 giugno), il 90% del programma scolastico è già stato evaso, Comuni e Cantone potranno comunque continuare a garantire i servizi di accoglimento per le famiglie che necessitano di questo supporto in quanto impegnate nelle attività lavorative, chiediamo quindi al Governo di non far tornare sui banchi i 35 mila allievi ticinesi e riaprire le scuole a settembre 2020.
In questo senso auspichiamo che il Consiglio di Stato, compatto, metta al corrente della tematica la Confederazione appellandosi, come già accaduto per l’economia, alla “finestra di crisi”; una condizione speciale, questa, alla quale il nostro Cantone potrebbe nuovamente avere accesso in ragione della situazione sociosanitaria con la quale è confrontato, a differenza della maggior parte degli altri Cantoni. Ritenuto oltretutto che si giustifica maggiormente in quanto in Ticino le scuole chiudono comunque prima rispetto agli altri cantoni.
Onorevoli Consiglieri di Stato, ringraziandovi per la vostra attenzione, restiamo in fiduciosa attesa di una vostra presa di posizione sul tema, auspicando che vorrete seguire la direzione da noi auspicata.
Vogliate gradire, onorevoli Consiglieri di Stato, i nostri più cordiali saluti.
Daniele Caverzasio (deputato al GC e municipale Mendrisio)
Eolo Alberti (deputato GC e sindaco Bioggio)
Sabrina Aldi (deputata GC)
Omar Balli (deputato GC e municipale Terre di Pedemonte)
Boris Bignasca (deputato GC)
Marco Borradori (sindaco Lugano)
Bruno Buzzini (deputato GC e municipale Locarno)
Andrea Censi (deputato GC)
Norma Ferrari Conconi (municipale Biasca)
Michele Foletti (capogruppo GC e municipale Lugano)
Sem Genini (deputato GC e municipale Riviera)
Michele Guerra (deputato GC e municipale Pollegio)
Lelia Guscio (deputata GC)
Roberta Pantani (vicesindaco Chiasso)
Enea Petrini (deputato GC)
Massimiliano Robbiani (deputato GC)
Stefano Tonini (deputato GC)