Fabio Regazzi, Consigliere nazionale PPD e Presidente USAM
Metteteci la mano sul fuoco: se il titolo dell’iniziativa riflettesse i contenuti e se gli obiettivi promessi venissero anche solo in parte raggiunti dalla proposta in votazione, questa volta mi leggereste tra i favorevoli. Come membro di una famiglia di imprenditori che si è sempre ispirata ai valori cristiani vivo ogni giorno sulla mia pelle la responsabilità nei confronti di dipendenti, apprendisti, fornitori, ambiente, società. L’iniziativa persegue proprio questo nobile obiettivo e prevede che le imprese con sede in Svizzera debbano rispettare i diritti umani e gli standard ambientali internazionali anche al di fuori del proprio paese. Giusto, ci mancherebbe. Ma allora perché, da cittadini responsabili, è del tutto controproducente sostenere una simile proposta? Almeno per 4 motivi.
1. È inapplicabile e dunque non porta effetti positivi: l’iniziativa prevede che le imprese svizzere siano responsabili delle attività di altre società, in tutte le regioni del mondo, che controllano economicamente, ma nelle quali non sono coinvolte nell'attività operativa. Lo stesso vale per i fornitori e i subfornitori e i sub-subfornitori (e i subsubsubfornitori…e così via). Non riesce il medico cantonale ad individuare tramite il contact tracing tutti i contagiati di Covid-19 in Ticino; figuriamoci dunque, per analogia, se possiamo pretendere che un’impresa svizzera riesca a controllare e a risalire a (talvolta) centinaia di sub-subfornitori all’altro capo del mondo e rispondere per le azioni di questi ultimi.
2. Altro che multinazionali, tocca anche le PMI: abilmente scelto, il titolo lascia intendere che saranno toccate solo aziende come Nestlé e Glencore, per citare due nomi. Il testo dell’iniziativa non parla mai di multinazionali ma chiama all’assurda e inapplicabile responsabilità tutte le imprese svizzere, comprese le PMI che ne costituiscono il 99% del totale. Se è impossibile per le grandi imprese assumersi gli ingenti oneri per ossequiare le esigenze dell’iniziativa, come potrà farlo la piccola impresa svizzera attiva, ad esempio, nella produzione di cioccolato e i cui sub-subfornitori nemmeno conosce?
3. È eccessiva e unica al mondo: l’apice dell’estremismo del testo in votazione riguarda l’inversione dell’onere della prova. Ciò significa che dall’estero chiunque – e gli avvocati stranieri stanno già gongolando – può intentare causa ad un’impresa svizzera per un presunto abuso da parte di un suo fornitore all’altro capo del mondo (ad esempio una presunta discriminazione salariale tra uomini e donne o un’altrettanto presunta violazione di norme ambientali). L’inversione dell’onere della prova – una prima a livello mondiale – non impone a colui che fa causa di portare le prove ma prevede che l’impresa elvetica debba dimostrare di aver assolto tutti gli obblighi di diligenza. Assurdo.
4. È una proposta anti-svizzera. Oltre ad essere estrema e dunque controproducente – cosa che è in contraddizione con l’approccio rigoroso ma equilibrato tipicamente svizzero – l’iniziativa impone l’applicazione del nostro diritto ad altri paesi, il cui sistema giudiziario è ritenuto dagli iniziativisti non all’altezza. In questo modo l’iniziativa aggira il sistema giudiziario di questi paesi chiamando alle responsabilità in Svizzera le imprese o i loro fornitori che hanno commesso reati all’estero.
Particolarmente grave: gli iniziativisti e alcune frange della nostra chiesa cattolica tentano di spaccare la società in buoni e cattivi, lasciando intendere che gli ultimi sono coloro che si oppongono alla proposta radicale. È vero il contrario: è stato elaborato dal Parlamento un controprogetto efficace e tra i più rigidi al mondo per contrastare le poche “pecore nere” tra le imprese ma preservare e incoraggiare l’attività delle migliaia di aziende elvetiche che contribuiscono al progresso nei paesi in via di sviluppo. Non lasciamoci condizionare dal titolo ingannevole di questa iniziativa che persegue un obiettivo condivisibile proponendo soluzioni controproducenti. Il 29 novembre votiamo NO, ciò che consentirà di far entrare in vigore il controprogetto adottato dalle Camere federali che prevede comunque un inasprimento delle normative per le aziende svizzere che operano all’estero.