di Marco Romano, capogruppo del Centro in Consiglio nazionale
MENDRISIO - Sono favorevole all’iniziativa popolare «Sì al divieto di dissimulare il proprio viso» al voto il prossimo 7 marzo.
Gli argomenti sociali e politici a favore dell’iniziativa superano di gran lunga alcuni limiti pratici del testo proposto. Non è una questione di politica di sicurezza, ma di regole essenziali della nostra collettività. Abbiamo la fortuna di vivere in una società aperta e liberale, rispettosa della diversità e delle libere interazioni sociali. I principi fondamentali su cui poggiano le nostre culture e il nostro vivere comune nella pluralità elvetica si fondano sulla libertà, la responsabilità, il rispetto e l’autodeterminazione di tutte le componenti del tessuto sociale. Il contatto visivo è essenziale; l’attuale porto della mascherina “obbligato” (a protezione della collettività) fa emergere notevole disagio relazionale. In Svizzera non si maschera il proprio viso né nei confronti delle autorità né tantomeno nelle relazioni quotidiane. Non lo si fa né autonomamente (penso ad esempio durante manifestazioni spesso violente) salvo eccezioni giustificate dalla legge e da tradizioni, né tantomeno si può accettare che qualcuno sia costretto a coprirsi il viso in pubblico. Ogni forzatura a riguardo è intollerabile, soprattutto quando imposta da valori culturali e religiosi che subordinano un genere all’altro. In Svizzera non si portano né il burqa né il niqab: assolutamente intollerabili quando obbligati, non graditi anche quando scelti liberamente.
Fondamentale a mio giudizio è la valenza sociale e culturale di questa iniziativa. Purtroppo, gli iniziativisti medesimi sottovalutano eccessivamente questi argomenti, che ha mio giudizio sono quelli che devono portare fra qualche settimana le cittadine e i cittadini del nostro Paese ad approvare il testo proposto. La libertà individuale, il rispetto, la dignità e la parità tra i sessi passano anche da disposizioni generali: dissimulare il viso o costringere un genere a farlo contravviene all’ordine sociale vigente elvetico, tanto oggi quanto negli anni futuri. Si tratta di una discriminazione verso una componente essenziale della società, a cui – con l’obbligo di portare un capo in pubblico – non sono dati i medesimi diritti. La protezione delle donne e il rispetto tra i generi passano anche da questi aspetti culturali. Il porto di burqa o niqab è, cito il messaggio del Consiglio federale, “l’espressione di correnti fondamentaliste dell’Islam e di un rifiuto di integrarsi e non corrisponde ai valori di apertura e di scambio difesi dalla nostra democrazia”.
Non si tratta, è vero, di un fenomeno diffuso nel nostro Paese, ma questo non significa che non debba essere chiaramente statuito nella nostra Costituzione un divieto di vivere portando questi simboli di sottomissione, rispettivamente, peggio ancora, essere obbligate a viverci, o meglio conviverci. Sono costrizioni sociali che non sono e non devono divenire parte della nostra società.