Dr. Ros Bertuccio, Studi di Genere, Università di Basilea, Delegata BPW Svizzera
Amnesty International rifiuta chiaramente la legge antiburka.
L’organizzazione per i diritti umani si basa nel suo discorso contro l’iniziativa anche sulle presunte affermazioni di fautrici e fautori favorevoli al divieto che affermano di voler aiutare le donne velate a liberarsi da costrizioni discriminanti.
Nulla di più falso.
Se alcune persone hanno addotto queste motivazioni come atto compassionevole nei confronti delle donne col nikab, ciò non può essere considerato uno dei motivi principali dell’iniziativa.
Un esempio proposto da Amnesty International, dove un poliziotto multa una donna col nikab con passanti curiose/i che osservano la scena è infatti un’assurdità se la multa come fine ha la liberazione della donna velata e oppressa.
Il divieto si rivolge a coloro che ritengono possibile legiferare sul corpo delle donne e questo divieto rifiuta inderogabilmente tale possibilità.
Il nikab offende tutte le donne che nel corso degli ultimi trecento anni hanno lottato per liberarsi da obblighi discriminatori nei loro confronti, per liberarsi da leggi, usi e costumi che ledono i loro diritti di persone.
Non si lotta per le donne velate, si lotta per concetti e comportamenti di uguaglianza di genere ottenuti nel corso del tempo con enorme fatica e contro enormi opposizioni.
L’iniziativa non strumentalizza le donne, bensì rifiuta qualsiasi argomentazione che considera questo divieto lesivo delle libertà di opinione e di religione.
Le libertà di opinione e di religione non possono e non devono in società democratiche ledere i diritti raggiunti finora dalle donne.
Non si vuole „salvare“ nessuna donna velata, a isolare le donne velate ci pensano già le loro leggi religiose e politiche valide, finora, nei loro paesi di origine.
Le libertà di opinione e di religione devono essere sempre in rapporto e subordinate alle leggi democratiche dei paesi che le hanno emanate.