Marco Romano, consigliere nazionale del Centro
Da mesi risuona il coro di una “riforma sulle spalle delle donne”, rispettivamente la contrarietà di fondo alla parificazione dell’età di pensionamento donna-uomo fino a quando non si avrà la parità salariale totale. Il primo argomento è fattualmente e numericamente sbagliato. Il secondo è una rivendicazione corretta che tuttavia contrapposta a questa riforma denota un approccio ideologico penalizzante per l’intero sistema e i/le giovani.
Tutte le riforme negli ultimi 25 anni sono cadute in votazione popolare. La polarizzazione e le rivendicazioni assolutiste nuocciono alle giovani generazioni che dopo il 2030 si troveranno una AVS finanziariamente allo sfascio e insostenibile.
La ricerca di un compromesso in Parlamento è partita da fatti inconfutabili. L’invecchiamento della popolazione: circa 100 centenari in più all’anno, l’80% di sesso femminile. L'aspettativa di vita a 65 anni pari oggi a 20 anni per gli uomini e 23 per le donne: la metà qualche decennio fa. La situazione per cui per ogni pensionato a breve vi saranno solo 2 attivi: 6 agli inizi. Nei prossimi 15 anni - con il pensionamento dei baby-boomer - passeremo da 1,6 a 2,6 milioni di pensionati. Lo squilibrio tra i contributi raccolti e le pensioni da erogare è palese. In assenza di misure, le perdite si accumuleranno fino a raggiungere quasi 28 miliardi nel 2032. Sventolare i risultati positivi degli ultimi due anni è errato poiché questi sono temporaneamente dopati dall’iniezione di risorse eccezionali e limitate nel tempo derivanti dalla riforma della fiscalità delle imprese (anch’essa combattuta da chi oggi vuole nuovamente dire no!).
L’aumento dell'età pensionabile per le donne sarà graduale con tappe di tre mesi all’anno. Le prime generazioni coinvolte (nate tra il 1961 e il 1969) riceveranno, per tutta la vita, pensioni migliorate in base al livello di reddito. Nessuno riceverà qualcosa in meno, nessun taglio di rendite; il focus è stato messo sui redditi bassi. Anche il prepensionamento sarà meno penalizzante, quanto più basso sarà stato il reddito durante la vita lavorativa. In concreto, nei primi nove anni le donne con un reddito medio annuo fino a CHF 57’360 potranno continuare ad andare in pensione a 64 anni senza alcuna riduzione della pensione. Il pensionamento anticipato sarà inoltre possibile a partire dall'età di 62 anni, anziché 63 come nel regime normale. In aggiunta, per la generazione di transizione è stato inserito un supplemento di pensione, calcolato in base al livello di reddito e graduato in base all'anno di nascita. L'importo sarà compreso tra CHF 150 e 1'920 all’anno e non sarà preso in considerazione nel calcolo delle prestazioni complementari e nel plafonamento per le coppie sposate.
Le nuove generazioni hanno a cuore la questione della parità salariale, non vi sono più oggettivi argomenti per avere età di pensionamento distinte, da tutti i fronti si chiede flessibilità (pensionamento tra i 63 e i 70) e i nati dopo il 1975 devono finalmente avere un segnale che l’AVS dopo il 2030 starà ancora in piedi. Ogni anno perso sono maggiori costi per chi verrà e un pericolo di taglio delle rendite! Io voto 2x SI.