di Laura Riget, copresidente PS Ticino
Negli scorsi giorni sono state pubblicate due notizie che rafforzano ancora di più la mia convinzione a respingere la riforma AVS 21 il prossimo 25 settembre.
La prima notizia riguarda la pubblicazione da parte del Consiglio federale del rapporto sul divario retributivo di genere, che evidenzia chiaramente come le donne guadagnino meno durante la vita lavorativa e di conseguenza percepiscano durante la pensione una rendita chiaramente inferiore rispetto a quella degli uomini. Il rapporto, stilato dall’Ufficio federale di statistica, indica che il divario retributivo di genere complessivo, cioè la differenza di reddito per tutte le ore lavorate tra i 15 e i 64 anni, è pari al 43,2%. I motivi di questa enorme differenza sono molteplici: è vero che mediamente ci sono molte più donne che lavorano a tempo parziale rispetto agli uomini, ma anche fattori come i salari più bassi in professioni occupate principalmente da lavoratrici (per es. settore infermieristico) e la disparità salariale a parità di esperienza hanno un’influenza. La risposta banale sarebbe dire che in fondo è una scelta delle donne lavorare di meno per occuparsi della famiglia, dei lavori domestici e della cura di famigliari malati e bisognosi. Ma siamo proprio sicuri che sia così, in particolare per la generazione delle nostre mamme e nonne? Qui si parla di donne che hanno passato gran parte della loro vita in un’epoca in cui non c’erano asili nido, mense e doposcuola; in cui la conciliabilità lavoro-famiglia non era un tema; in cui c’era anche un forte stigma sociale nei confronti di mamme che lavoravano a tempo pieno. Una situazione che è migliorata per le giovani mamme di oggi, ma che resta difficile.
Ovviamente queste differenze salariali si ripercuotono sulla pensione. Sempre secondo il rapporto, le donne hanno rendite complessive del 34,6% inferiori rispetto agli uomini, pari a 18’924 franchi in meno in media. Le differenze sono particolarmente marcate nel secondo pilastro: solo il 49,7% delle donne riceve una rendita da una cassa pensione contro il 70,6% degli uomini. E quando la ricevono è del 47,3% inferiore rispetto a quella degli uomini.
I due argomenti principali usati dai fautori della riforma AVS 21 per giustificare l’innalzamento dell’età pensionabile delle donne sono che l’uguaglianza è ormai raggiunta e che semmai bisognerebbe agire nel secondo pilastro per correggere eventuali distorsioni. Agire nel secondo pilastro: una buona proposta, che sostengo assolutamente. Peccato che proprio questa settimana la commissione del Consiglio agli Stati incaricata di elaborare una riforma del secondo pilastro abbia rinviato nuovamente il dossier impedendo così di trovare finalmente una soluzione a questo annoso problema. È chiaro che la maggioranza della commissione – composta da uomini! - vuole continuare a far aspettare le donne e non intende apportare alcun miglioramento alle nostre pensioni. Così facendo, essi stessi smantellano il loro principale argomento a favore del sì. Ora più che mai: NO ad AVS21!