Omar Pedrini, Presidente UCT e agricoltore BIO
A cosa pensiamo quando parliamo di allevamento intensivo? A polli e galline tenuti ingabbiati ed incapaci di muoversi, con la punta del becco recisa per impedire loro di beccarsi. A suini con l’anello al naso, i denti troncati e la coda recisa -il tutto senza anestesia- perché non si aggrediscano a vicenda per lo stress. A bovini privati delle corna, sempre senza anestesia e così la castrazione. Animali ammassati all’inverosimile. L’abuso di farmaci per evitare che gli animali, costretti in queste condizioni terribili e stressanti, si ammalino. L’allevamento intensivo è, nelle parole degli iniziativisti stessi, quell’allevamento che “lede sistematicamente il benessere degli animali”. Su questo siamo concordi. E le pratiche riportate sopra sono tutte già proibite dalla legge svizzera, che è già la più severa al mondo. Per quanto riguarda il consumo di antibiotici va aggiunto che negli ultimi 10 anni è diminuito del 67% e dal 2019 esiste una banca dati nazionale che assicura una supervisione costante. È inoltre stabilito un numero di esemplari massimi per azienda, in nessun’altra parte del mondo è così.
Ecco perché come membri del mondo agricolo svizzero siamo indignati da questa iniziativa fin dal suo titolo. Perché i favorevoli parlano a piè spinto di allevamento intensivo in Svizzera chiedendo come si possa difendere tale pratica. Non la difendiamo, infatti. E ci indigniamo dall’essere associati ad essa come categoria. È un’iniziativa pensata male, dall’applicazione altamente problematica e contraddittoria negli scopi che vorrebbe raggiungere. Ma efficace nella comunicazione: basta il suo nome per attirare simpatia e, di conseguenza, antipatia verso chi ne è giustamente critico. Mentre il vero scopo di diminuire il numero di animali allevati e imporci una dieta il più possibile vegana viene nascosto.
Non ci sono nazioni più virtuose della Svizzera per il benessere degli animali da reddito su tutti i livelli, dalle aziende più piccole alle maggiori. Per i sostenitori dell’iniziativa questo è irrilevante, come il fatto che i prezzi dei generi alimentari aumenterebbero per persona all’anno di 1'800 franchi e ci sarebbero molte più importazioni, un maggior turismo degli acquisti oltre frontiera e una perdita di migliaia di posti di lavoro. Si può fare sempre di più, intensamente di più, eccessivamente di più, senza curarsi delle conseguenze. Però quest’iniziativa colpirà solo l’allevamento svizzero, non le nostre importazioni giacché una sua applicazione all’Accordo agricolo con l’UE attiverebbe la famosa clausola ghigliottina. Alleveremmo comunque molti meno suini e volatili -i più colpiti dall’iniziativa e, ironicamente, i più sostenibili dal punto di vista delle emissioni di CO2-. Ma si può fare sempre di più, intensamente di più, eccessivamente di più. Votare NO non significa disinteressarsi al benessere degli animali da reddito o sostenere l’allevamento intensivo. Significa rifiutare un testo la cui unica parte pensata bene è il titolo, inapplicabile e soprattutto lesivo per tutti noi, animali compresi.