Movimento Scuola
La proposta di riforma del secondo biennio della scuola media presentata dal DECS all’inizio della scorsa settimana contiene elementi che, considerati singolarmente, potrebbero essere salutati con favore. Ci riferiamo per esempio all’intenzione di moltiplicare i momenti di lavoro scolastico in gruppi di dimensione ridotta o all’idea della codocenza: sono scelte che vanno nella direzione di ridurre il numero di alunni con cui il singolo docente dovrà relazionarsi e rispondono così a una rivendicazione storica del corpo insegnante. Ma pensiamo anche al principio secondo il quale tali gruppi non debbano necessariamente essere omogenei dal punto di vista delle capacità scolastiche dimostrate né essere sempre uguali nella loro composizione: sembrerebbe che ci si proponga così, positivamente, di superare la rigidità strutturale dei cosiddetti “livelli” sostituendoli con un dispositivo dichiaratamente più democratico.
Eppure, non possiamo nasconderlo, la quasi unanimità dei consensi che la proposta sembra già aver ottenuto a livello politico solleva qualche interrogativo. Vi sono nel progetto alcune criticità e alcuni aspetti la cui definizione non è del tutto chiara, che inviterebbero alla prudenza.
1. L’annosa questione procedurale
Per chi opera nella scuola, l’affermazione secondo cui la proposta proviene dal basso, come ha sottolineato la stampa, suona beffarda. Nei resoconti giornalistici non compare un dettaglio: la cosiddetta “proposta dei direttori” non è stata vagliata ufficialmente neppure dall’intero collegio dei direttori! Per chiarezza è doveroso ricostruire la genesi di questa ennesima proposta di riforma. Fra maggio e giugno, l’idea del nuovo dispositivo con cui superare i corsi A e B, nata in seno al ristretto ufficio di presidenza dei direttori delle scuole medie, è stata presentata nelle sue linee generali ai direttori stessi, agli esperti di tedesco e di matematica (quindi neppure a tutti i quadri scolastici) e ad alcune associazioni sindacali e magistrali, tra cui il Movimento della Scuola. In quelle occasioni si raccolsero apprezzamenti e osservazioni critiche (di cui non pare esserci particolare traccia nell’attuale proposta) e si spiegò che nulla era definitivo, che si sarebbe proceduto diversamente dal passato, che cioè – attraverso la formazione di gruppi di lavoro capaci di coinvolgere il mondo della scuola – si sarebbe giunti infine a una proposta condivisa. Poi più nulla, fino alla diffusione pubblica del documento consegnato alla stampa lunedì 5 settembre: documento che gran parte dei direttori e degli esperti di materia, nonché la totalità degli insegnanti, hanno potuto leggere per la prima volta sui portali e sulle pagine dei giornali. Nei prossimi mesi, verranno certo creati dei gruppi di lavoro, poiché “il modello immaginato potrà eventualmente venire leggermente corretto” (parole del ministro Bertoli, corsivo nostro), ma sembra di capire che concetto e struttura non saranno suscettibili di sostanziali modifiche.
Chiediamo invece che il progetto possa essere discusso in tutti i suoi aspetti e che i collegi dei docenti, i quadri scolastici e le associazioni magistrali siano coinvolti nella sua elaborazione. Siamo profondamente convinti che l’efficacia di una riforma sia proporzionale al grado di adesione con cui, fin dalla sua ideazione, gli insegnanti guardano ad essa.
2. I nodi irrisolti nel merito della proposta
Non ci sembra che la nuova proposta faccia del tutto i conti con una fragilità di fondo che già contraddistingueva i tentativi di superamento dei corsi A e B del passato: la mancanza, a supporto delle scelte “tecniche” su cui si pone l’accento, di una riflessione di più ampia portata, senza la quale non è possibile esprimere un giudizio definitivo sulla natura della riforma presentata. Per meglio spiegarci, ci troviamo costretti a richiamare per sommi capi alcune osservazioni già sviluppate nel contributo elaborato in occasione della consultazione riguardante la proposta di superamento dei
corsi A e B bocciata dal Gran Consiglio nel gennaio scorso (documento scaricabile dal nostro sito):
• L’intenzione di eliminare i corsi A e B in matematica e tedesco e di sostituirli con altre forme didattiche dovrebbe essere inserita in uno sforzo più ampio teso a ridisegnare nel suo complesso il senso pedagogico e orientativo del secondo biennio di scuola media. È decisivo a nostro parere – per dare coerenza e significato ai cambiamenti, pur parziali, che si suggeriscono – offrire una visione aggiornata dei compiti e delle finalità educative a cui la scuola dell’obbligo dovrebbe assolvere in uscita (quali oggi le priorità nella formazione degli allievi in vista del mondo delle scuole postobbligatorie e della vita adulta?). Solo avendo sott’occhio questi elementi, sarebbe possibile confrontarsi con cognizione di causa sui contenuti e sugli scopi delle nuove forme didattiche proposte (laboratori e codocenza) o su scelte come quella di applicare prioritariamente queste nuove modalità di lavoro alle lezioni di matematica e tedesco e non, ad esempio, alla matematica e alla prima lingua, l’italiano (le due materie cioè che offrono le competenze di base e i linguaggi necessari per essere introdotti in buona parte degli ambiti dello scibile umano)
• Se realmente l’obiettivo fosse quello di rimuovere fino in fondo gli effetti collaterali negativi del modello basato sui corsi A e B, allora – contestualmente alle proposte riguardanti l’abolizione dei “livelli” – andrebbe aperta una riflessione e andrebbero elaborate delle idee riguardanti il passaggio dalla scuola media alle scuole post-obbligatorie. Si dovrebbero formulare delle proposte concrete affinché le scuole medie superiori siano in grado di affrontare al meglio il nuovo scenario (in termini di risorse e di mezzi a disposizione) e, soprattutto, si dovrebbero rendere più accessibili le scuole professionali (con un ruolo attivo dello Stato nella promozione di nuovi posti nelle scuole a tempo pieno e di posti di apprendistato nel sistema binario; è proprio questo infatti l’ostacolo principale all’allargamento delle possibilità di sbocco nel mondo della formazione professionale). Se invece ci si limiterà ad aggiornare i criteri di ammissione alle diverse scuole postobbligatorie in relazione alla scomparsa dei corsi A e B, le pressioni indebite su famiglie e docenti degli allievi del secondo biennio di scuola media passeranno dal terreno della scelta del corso di matematica o tedesco a cui iscrivere l’allievo a quello del voto (o della media) da raggiungere per poter avere più porte aperte a conclusione della scuola media stessa. La natura del problema non muterebbe.
• Vi è un aspetto che raramente viene messo in evidenza quando si propongono nuove modalità di lavoro pedagogico-didattico: le ricadute di tali proposte sull’impegno professionale degli insegnanti. Non si tratta beninteso di una semplice questione sindacale: un miglioramento o un peggioramento delle condizioni-quadro entro le quali operano i docenti significano quasi linearmente un miglioramento o un peggioramento della qualità dell’offerta formativa. Riteniamo dunque fondamentale che nei prossimi mesi si chiariscano meglio le conseguenze su questo piano delle proposte di codocenza e di estensione delle attività laboratoriali a piccoli gruppi, tanto più se questi gruppi variano periodicamente nella loro composizione. È bene essere consapevoli del fatto che il numero degli allievi di un gruppo-classe è solamente uno dei parametri utili a stabilire il carico di lavoro, che lavorare in team significa dover dedicare del tempo a coordinare l’intervento, che l’auspicata differenziazione – svolta in contesti eterogenei – comporta un aumento significativo del lavoro di pianificazione, di valutazione e di accompagnamento.
• La proposta presentata dal DECS prevede un dispositivo didattico complesso e flessibile, la cui efficacia sembrerebbe dipendere molto dalla capacità degli insegnanti coinvolti di monitorare le situazioni, di valutare i singoli allievi, di orientare il lavoro della classe e dei gruppi laboratoriali. Ebbene, non va sottovalutato il fatto che tale delicato lavoro rischia attualmente di pesare sulle spalle di persone che si sono messe a disposizione per insegnare pur non avendo i titoli e la formazione necessaria per farlo. Non si potrà di certo ovviare con qualche corso di formazione ad hoc. La carenza di candidati all’insegnamento adeguatamente qualificati (che i vertici dipartimentali si ostinano a negare) è già oggi grave in alcune materie, e paradossalmente proprio nelle lingue seconde e in matematica. E ora pare che con la nuova proposta vi sia la necessità di reclutare 65 nuovi docenti (considerando entrambe le discipline implicate)!
Il comitato del Movimento della Scuola ribadisce qui la ferma convinzione che esista oggi la necessità di superare la differenziazione strutturale che caratterizza il biennio di orientamento della scuola media e conferma la disponibilità della nostra associazione a entrare nel merito di una riforma. Siamo tuttavia convinti che le questioni da noi sollevate debbano essere seriamente prese in considerazione anche perché una riflessione progettuale che resti confinata alla dimensione prettamente “tecnica” non potrà che essere monca. Solo sottolineando le ragioni di fondo dei cambiamenti proposti, solo dando coerenza e spessore argomentativo al progetto, solo assicurando buone condizioni di lavoro agli insegnanti e agli allievi, sarà possibile garantire una riforma coerente e capace di rispondere ai bisogni formativi di una società in profonda trasformazione.