Amalia Mirante
In Ticino, il dibattito sulla disoccupazione è, come al solito, confuso. Secondo la Segreteria di Stato dell’Economia (SECO) i disoccupati nel quarto trimestre del 2023 erano “solo” 4'400. Invece secondo i calcoli più realistici dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro (ILO) si aggiravano intorno agli 11’000.
La discrepanza è notevole, con il metodo ILO che dipinge una realtà più cruda e vicina al vissuto della gente, rispetto ai dati ottimistici della SECO, che conta solo chi si registra agli uffici regionali di collocamento (URC).
Questa divergenza non solo genera confusione ma alimenta anche la favola di un mercato del lavoro ticinese più florido di quanto non sia in realtà. È tempo di chiamare le cose con il loro nome: il tasso SECO non misura la disoccupazione reale.
Il tasso SECO rapporta le persone iscritte agli uffici regionali di collocamento con il totale della popolazione attiva. Un metodo corretto e veritiero. Ma purtroppo anche un dato parzialissimo.
In effetti, questo indicatore si riferisce soltanto alle persone che sono, al tempo stesso, disoccupate e iscritte agli uffici di collocamento. In realtà, si iscrivono agli URC quasi solamente le persone che hanno diritto all’indennità di disoccupazione. Tuttavia, sono tantissime le persone in cerca di un lavoro che non sono iscritte agli URC. I motivi sono vari. Non hanno diritto alle indennità oppure il diritto si è esaurito. Oppure si tratta di ex studenti o persone scoraggiate.
Per compensare le lacune dell’indicatore SECO – corretto ma parziale – abbiamo uno strumento che fotografa il fenomeno in modo più completo: il tasso ILO. Questo tasso stima i disoccupati tramite sondaggi telefonici con un campione molto più ampio e rappresentativo (anche se probabilmente il risultato è ancora sottostimato).
Evidentemente, questo secondo metodo si avvicina di più al significato comune di “disoccupazione”. Ci dà in pratica un elemento di realtà piuttosto che un dato burocratico.
La discrepanza tra i due tassi non è grave di per sé. Però crea confusione. Per risolvere questa situazione, basterebbe specificare meglio che il tasso di disoccupazione SECO in realtà non descrive la disoccupazione ma conta gli iscritti agli URC. Insomma, non chiamiamo “tasso di disoccupazione” il tasso SECO, perché non lo è.
La domanda sorge spontanea: perché non si chiede di cambiare? La risposta potrebbe risiedere nella tentazione di dipingere un quadro ottimistico del mercato del lavoro locale, una narrazione confortante ma non allineata con la realtà. Se si scegliesse la via della trasparenza ciò non solo aumenterebbe la comprensione pubblica ma potrebbe anche stimolare azioni e politiche più mirate per curare la vera e grave disoccupazione nel cantone.