Lorenzo Quadri, Consigliere nazionale, Municipale di Lugano - Lega dei Ticinesi
LUGANO - A suon di slogan populisti e di cifre farlocche, i tassaioli rossoverdi hanno iniziato la loro campagna contro la riformetta fiscale da 45 milioni all’anno. Riformetta che serve sostanzialmente a compensare la crescita del moltiplicatore cantonale del 3%. Altrimenti detto: niente riformetta uguale aumento delle tasse del 3% per tutti. Ceto medio in primis.
Alcune considerazioni preliminari
1) 45 milioni sono circa l’1% della spesa pubblica cantonale, che è di 4.2 miliardi (!) all’anno. Tentare di far credere che questa goccia nel mare, se approvata, renderebbe necessari chissà quali tagli, è ridicolo.
2) Il problema delle finanze cantonali non sono certo le entrate, che sono continuamente salite. Sono invece le uscite, esplose senza controllo. Dal 1995 ad oggi sono raddoppiate, passando da 2.1 a 4.2 miliardi all’anno.
3) L’amministrazione cantonale è gonfiata come una rana. Ad esempio, in Ticino c’è un funzionario ogni 66 abitanti, a Soletta uno ogni 81.
4) Lo studio Idehap conferma che il Ticino spende di più – anche molto di più – della media svizzera, in tutti i campidell’attività statale.
E’ quindi evidente che di aumentare le imposte non se ne parla nemmeno!
Slogan da barzelletta
Lo slogan “Stop ai tagli” utilizzato dalla Sinistra per combattere la riformetta, fa ridere. A rendere necessari i tagli non sono di certo fantomatici sgravi fiscali: in Ticino non se ne vedono da 20 anni (mentre nel Canton Zugo, tanto per fare un esempio, i votanti hanno approvato un nuovo pacchetto a fine novembre). A svuotare le casse pubbliche, e quindi a provocare i tagli, è invece l’esplosione della spesa cantonale. Per la quale possiamo ringraziare le politiche immigrazioniste, stataliste, climatiste ed assistenzialiste della maggioranza di centro-sinistra. Ergo, “Stop ai tagli” nel concreto dovrebbe significare “stop alla sinistra”.
Il mito degli “sgravi ai ricchi”
La riformetta, approvata dal Gran Consiglio lo scorso dicembre, contiene una serie di misure: riduzione lineare delle aliquote dell’imposta sul reddito dell’ 1.66%, aumento
dell’importo deducibile per le spese professionali, riduzione dell’imposta di successione e donazione per favorire le successioni aziendali, plafonamento al 3% dell’aliquota massima prelevata sulle prestazioni in capitale della previdenza, e la riduzione progressiva dell’aliquota massima dell’imposta sul reddito dal 15% al 12% sull’arco di sei anni. Quest’ultima misura, oltretutto posticipata al 2029-2030, è il famoso “sgravio ai ricchi”. Si tratta quindi solo di una piccola parte della riformetta e per di più posticipata nel tempo. Il suo scopo non è certo quello di “svuotare le casse pubbliche” bensì di riempirle, attirando nuovi contribuenti facoltosi ed evitando la fuga di quelli attuali.
Si ricorda infatti che oggi il 3% dei contribuenti paga il 40% delle imposte. Basta che qualche esponente “di peso” di questo 3% decida di sloggiare per altri lidi, e allora sì che le casse pubbliche si svuotano!
Spremuti come limoni
Pensando di turlupinare i votanti, la sinistra racconta di essere contraria agli “sgravi ai ricchi”, ma di sostenere alcune parti della riforma. Peccato che tra queste parti NON figurino le misure per la compensazione dell’aumento del 3% del moltiplicatore cantonale: vale a dire la riduzione lineare dell’1.66% e l’aumento delle deduzioni professionali. Quindi, i rossoverdi vogliono aggravi fiscali: mirano a mettere le mani nelle tasche della gente, e lo dicono pure!
Una cosa deve essere infatti chiarissima ai votanti. Respingere la riformetta fiscale il 9 giugno non significa lasciare le cose allo stato attuale. Significa aumentare le tasse a tutti del 3%.
In più, se la riformetta dovesse venire respinta, il no verrebbe preso a pretesto per sdoganare ulteriori aggravi fiscali.