Milioni e luci dei riflettori? C'è anche il lato oscuro
Attenzione (dei media) e pressione: per gli sportivi è dura
FIRENZE - “Sì, faccio terapia da due anni e mezzo”. Ronaldo il “Fenomeno” è solo l'ultimo di una lunga lista di sportivi che durante o dopo la loro carriera soffrono o hanno sofferto di depressione.
Un male oscuro che non risparmia nessuno. Anche chi, come loro, sembra un supereroe indistruttibile, abituato a vivere sempre al massimo sotto le luci dei riflettori, in campo e fuori.
Proprio in questi giorni il tennista italiano Lorenzo Musetti ha avuto un attacco di panico durante il torneo di Firenze, nel pieno della semifinale poi persa contro Auger-Aliassime. Stress mentale, ansia, depressione. Sono tutti comuni denominatori di uno stato d’animo che colpisce sempre più gli sportivi ad alto livello. Secondo una stima recente di Fifpro, la federazione internazionale dei calciatori professionisti, l’11% dei giocatori che si sono ritirati soffre di stati d’ansia più o meno acuti, il 13% manifesta sintomi compatibili con la depressione, il 28% convive con disturbi del sonno.
Gianluigi Buffon non si è ritirato, anzi, con i suoi 44 anni è uno dei veri e propri highlander del calcio. Ma in passato ha avuto a che fare con la depressione. «Un giorno mi alzai dal letto e mi sentii le gambe senza energie, cioè: tremavano», ha raccontato sulla sua depressione. Ne è uscito qualche anno dopo, grazie, tra le altre cose, a un… quadro di Chagall in mostra a Torino: “La Passeggiata”. Se ne è innamorato, era una piccola gioia quotidiana, e da lì ha capito che anche attraverso, appunto, le piccole gioie avrebbe potuto ritrovare la voglia di vivere.
Pure Paul Pogba recentemente ha detto a Le Figaro di aver «Sofferto di depressione durante la carriera. A volte non sai dove sei, vuoi soltanto isolarti, stare da solo». Andrés Iniesta aveva appena vinto una Champions League, quando la morte di Dani Jarque lo ha fatto sprofondare in un tunnel lungo e buio. E che dire di Josip Ilicic, colonna dell’Atalanta dei miracoli di Gasperini, caduto in depressione a cavallo dalla pandemia e di fatto scomparso dai radar nelle ultime due stagioni prima di tornare in Patria a giocare.
Non solo calcio però. Nel ciclismo Gianni Bugno, nel ’96, ammise di non riuscire a rendere al meglio perché si sentiva vuoto. Come non citare poi il caso-Pantani, al di là dei risvolti ancora poco chiari della morte del Pirata. Più recentemente altri campioni, da Tom Dumoulin a Mark Cavendish hanno ammesso: «Ero come al buio».
Anche Michael Phelps, campione del nuoto, ha rivelato di aver sofferto di depressione, che si manifestava acuta ciclicamente alla conclusione di ogni esperienza olimpica. Una sorta, quindi, di interruzione repentina di adrenalina. Nel tennis, Naomi Osaka, ha deciso di ritirarsi dal Roland Garros a causa perché soffocata dalla pressione mediatica.
Ci sono poi le storie più tristi. Il tentativo di suicidio di Gianluca Pessotto, ex Juve, nell’estate 2006, e quello di Clarke Carlisle difensore inglese che in preda alla depressione si gettò contro un camion in autostrada rimanendo quasi illeso. E poi chi invece la vita è riuscita a togliersela davvero. Agostino Di Bartolomei, campione della Roma anni ’80, si suicidò sparandosi al petto in casa sua il 30 maggio ’94, probabilmente perché il “suo” calcio lo aveva escluso. «Mi sento chiuso in un buco», scrisse in un bigliettino. Possibile titolare della Germania ai Mondiali del 2010, il portiere Robert Enke si tolse invece la vita il 10 novembre 2009 tra lo stupore di tutti. Non era riuscito ad “aprirsi” e le tensioni della vita, la paura, ebbero il sopravvento.
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Alcune ricerche hanno dimostrato che il 20% degli atleti in attività soffre di depressione, ma che la percentuale sale addirittura al 50% se si considerano anche gli sportivi che hanno concluso la propria carriera. Ludovica Bedeschi, psicologa, psicoterapeuta e sport peak performance trainer, in un’intervista su Leggo ha detto che: «La depressione negli sportivi è abbastanza frequente e può avere forme varie».
Anche per questo motivo negli ultimi anni le società sportive, ma anche i singoli atleti, dedicano sempre maggiore attenzione alla cura mentale oltre che del corpo. Figure come il mental coach, o nello specifico lo psicologo dello sport, sono in costante aumento. «Per lo sportivo l'aspetto mentale è fondamentale. La pressione alla quale si è sottoposti è forte. Per questo essere seguiti da una persona preparata è fondamentale», dice la dottoressa.