Tanti gli argomenti toccati dall'ex calciatore - tra le altre - dell'Inter: «Il calcio cambierà...»
Nel 2017, quando sua moglie si era malata gravemente, l'ex tecnico bianconero aveva vissuto mesi difficilissimi: «In questo periodo la preoccupazione più grande è proprio legata a lei».
LIVORNO - Una vita intera passata sui campi, prima da calciatore e poi come allenatore. Oggi - come tutta la collettività - Paolo Tramezzani ha però dovuto azionare il tasto "pausa": il 49enne - ex tesserato tra le altre di Inter e Atalanta - è infatti chiuso in casa a Livorno con la sua famiglia, il bene più prezioso. Passato anche dal Ticino (come scordarsi la magica cavalcata che aveva portato il Lugano in Europa nel 2017?) il "Trame" ancora oggi si emoziona quando pensa ai sei mesi trascorsi in riva al Ceresio.
Andato via da vincente da Cornaredo l'emiliano aveva poi deciso di accettare la corte del Sion di Christian Constantin, ammaliato da ciò che era riuscito a fare a Lugano. Quello vallesano è però stato un periodo buio della sua vita, dove ha dovuto far fronte alla rara malattia che ha colpito la moglie Elisa, oggi guarita. «In questo periodo la preoccupazione più grande è proprio legata a mia moglie, essendo lei inserita in quel gruppo di persone a rischio. Fortunatamente, però, sta andando tutto bene. È a casa tranquilla e questo ci rende felicissimi. Quelli della sua malattia, infatti, sono stati momenti da incubo...».
Come sta vivendo Paolo Tramezzani questi giorni surreali?
«Innanzitutto stiamo rispettando le regole. Le mie giornate volano, arriva presto sera. C'è sempre qualcosa da fare: ginnastica, aiutare i figli con i compiti e ovviamente il lavoro. Mi sto riscoprendo, in questo periodo un po' tutti stiamo facendo qualcosa che prima non eravamo abituati a fare. Essendo il ritmo più rallentato si ha tempo di vivere certe cose più nel profondo. Questi giorni ci segneranno...».
Quanto è stato difficile per te - abituato alla pressione e alla frenesia - fermarsi?
«Effettivamente ho sempre avuto una vita molto intensa, sia nei 21 anni da calciatore che nei 9 in panchina. Sono praticamente nato su un campo da calcio e le mie giornate si sono sempre concentrate lì. Ora dedico il 100% del mio tempo alla famiglia. Ed è tempo ben speso... Non mi annoio affatto, la cosa più importante adesso è la salute di tutti».
Un periodo lungo il quale è complicato abbozzare un sorriso...
«È difficile convivere con tutta questa sofferenza. Sentire persone a cui sei legato che piangono un proprio caro per questa terribile malattia, è devastante. Dopo aver visto alcune scene, fai fatica a non piangere. Stringi i denti, abbassi la testa e cerchi di andare avanti. Mi vengono i brividi quando penso a quelle persone infettate che entrano completamente sole nelle strutture ospedaliere, nelle quali non possono contare sull'affetto dei propri cari. È terribile... Anche a me è capitato di perdere qualcuno con cui avevo un bel rapporto, una persona in particolare alla quale ero molto legato».
Un padre, ma anche un maestro...
«Ogni tanto per i compiti delle figlie è richiesto l'aiuto del papà. La maggior parte delle volte riesco a portare a termine gli esercizi scolastici e questo mi rende felice (ride). Proprio per favorire il loro percorso scolastico, siamo rimasti a Livorno dove ci troviamo molto bene. A livello di risultati (Tramezzani aveva guidato gli amaranto da dicembre a febbraio in Serie B, ndr) non è stata un'esperienza positiva, ma per il resto qui stiamo benissimo. Abbiamo la fortuna di avere una casa grande col giardino dove poter uscire ogni tanto a prendere un po' d'aria».
Il campo - oggi - ti manca?
«Nemmeno un po'. Alla prossima esperienza ci penseremo più in avanti. In questo momento studio: l'obiettivo è cercare di migliorarmi come allenatore. Sto davvero approfondendo le mie conoscenze a 360 gradi...Ma il pensiero del campo oggi no, non mi sfiora...».
Tramezzani, un allenatore abituato alle vecchie maniere...
«Viva carta e penna! Ho la fortuna di avere dei collaboratori che sono molto più tecnologici di me. Io sono uno da foglio davanti, campetto disegnato, penna in mano per scrivere e cancellare: è così che preparo gli allenamenti».
Pensi che vedremo partite di Serie A nelle prossime settimane?
«Mi auguro si potrà riprendere perché vuol dire che le cose stanno migliorando. Il calcio potrebbe essere un veicolo in più per uscire dalla crisi. Attorno a questo sport ci sono tanto amore e tanta passione, proprio quegli elementi che ora servono alla gente per cercare di tornare lentamente alla normalità. Lo vediamo quando scendono in campo le nazionali, la gente vive di calcio. Se dovessimo iniziare, però, facciamolo nel rispetto di tutte quelle persone che in queste settimane hanno visto perdere dei loro cari. Ripartiamo, se possiamo, ma in sicurezza. Il calcio potrebbe ridare un po' di sorrisi alla gente...».
Che calcio sarà quello dei prossimi anni?
«L'idea che mi sono fatto io è che - chiusa questa crisi - tante cose cambieranno, tra cui anche il calcio. Non si potrà far finta di niente. Forse tra qualche anno tornerà il calcio a cui eravamo abituati fino a poche settimane fa. Ma nel breve periodo sarà diverso e la prossima sarà una stagione molto particolare. Una sorta di anno zero...».
Lugano, un'avventura indelebile per te...
«A Lugano sento tante persone, ma non solo in questo periodo. È qualcosa che dura sin da quando sono andato via. L'esprienza ticinese occupa un posto importante nel mio cuore. Ho stretto rapporti veri, che conservo nel mio cuore. Sono stati sei mesi arricchenti sotto tutti i punti di vista. Ci penso spesso...».
Tramezzani, un uomo ambizioso che ha sempre scelto il percorso più complicato...
«Ho sempre avuto l'istinto di cercare le cose meno semplici e banali, optando per le strade più tortuose. Non è un caso se, come prima esperienza in panchina, ho scelto di andare in Albania. Ma anche l'accettare il Lugano - nel bel mezzo di una stagione - non era sicuramente qualcosa che tutti avrebbero fatto. Subentrare a metà campionato con la squadra nella parte bassa della classifica mi aveva però invogliato. Nella mia vita ho sempre optato per le soluzioni meno accomodanti, quelle più insidiose».