Diciassette trofei non bastano per diventare una stella: «Per quelli dovrebbe diventare un po’ rosso».
Arno Rossini ha bacchettato il 28enne: «Incostante. Ha fatto bene solo in Nazionale grazie alla gestione di Vlado. Riuscisse, il Liverpool lo scaricherebbe subito».
LIVERPOOL - Nell’ultima settimana Xherdan Shaqiri ha sollevato l’ennesimo trofeo di una carriera che sta assumendo contorni leggendari, ha consumato una festa tutta rossa e si è levato più di un sassolino dalla scarpa. Mica male per il miglior giocatore al mondo tra quelli sottovalutati o per il meno forte tra i campionissimi. Già perché, ancora oggi che ha toccato quota 28 anni, non si riesce bene a stabilire cos’è veramente il trequartista nativo di Gjilan. Che abbia qualità tecniche sopra la media è chiaro. Che abbia un fisico fatto apposta per il pallone - nel suo ruolo almeno - è cristallino. Pur facendo incetta di allori, lo svizzero è tuttavia lontano dal poter essere considerato decisivo. Se i suoi 17 trionfi - tra Basilea, Bayern e Liverpool - sono stati colti giocando meno di 400 match (molti dei quali con i renani, tra l’altro) qualche problema deve pur esserci.
«Non c’è un problema, c’è una motivazione: Xherdan non è un campione - ha sentenziato Arno Rossini - È un buon giocatore che ha avuto la fortuna di militare in squadre vincenti».
La bacheca ricca è quindi un caso?
«Non possiamo certo dire che abbia lasciato il segno con le squadre con le quali ha vinto. Non con le grandi almeno. È stato protagonista a Basilea, non certo al Bayern o a Liverpool».
Questo perché non ha la qualità per giocare con le big?
«Di qualità ne ha tanta. Ha spunti decisivi dalla trequarti in su e sa inventare giocate eccezionali. Infortuni a parte, il suo grande limite è sempre stata la continuità. Su 90’ ne gioca forse 15’. E questo di sicuro non spinge gli allenatori a metterlo in campo».
Va bene se sei Messi…
«Esatto. In quel caso un occhio puoi anche chiuderlo, ma Xherdan non è Messi. Quindi panchina. O tribuna. Diciamo che negli anni ha spesso seguito le partite delle sue squadre da spettatore, seduto nei posti migliori. Ed è anche stato pagato milioni per questo».
Nell’ultima stagione Shaqiri ha messo insieme appena dieci presenze, per un totale di 256’.
«Una miseria. Questo, tenuto conto di tutto, mi fa pensare che lo svizzero non sia uno che dà sempre il massimo. Se non da titolare, almeno un ruolo da riserva importante, da prima scelta in panchina, sarebbe altrimenti riuscito a ritagliarselo. Invece nulla. Solo le briciole, per una situazione sconfortante. Certo, Xherdan sta riempiendo la bacheca e vedendo crescere a dismisura il suo conto in banca; non so però in quanti, tra dieci anni, si ricorderanno di lui ripensando alle grandi squadre nelle quali ha militato».
Motivazione… c’è anche un problema caratteriale?
«Questo è certo. Non stiamo parlando di un trascinatore».
Proprietario di un contratto fino al 2023, quale sarà il futuro prossimo di Xherdan?
«Riuscisse, il Liverpool lo scaricherebbe subito. Non è in ogni caso semplice. L’alto stipendio, i ferimenti frequenti e il fatto di essersi dimostrato tutt’altro che decisivo non rendono il “nostro” ricercatissimo. Credo che alla fine i Reds saranno costretti a tenerselo per tre anni. Magari riusciranno a mandarlo in prestito in qualche club che accetterà di accollarsi almeno una parte dell’ingaggio. Ma la cessione definitiva… quella mi sembra difficile».
Nel 2023 Shaqiri avrà 32 anni.
«E, continuando così, potrà voltarsi indietro e provare sentimenti contrastanti. Potrà bearsi dei successi ottenuti dalle sue squadre, per i quali dovrebbe però un po’ diventare rosso, come anche forse rammaricarsi per aver vissuto una carriera non da protagonista. E avrebbe potuto. Potrebbe. A quell’età, poi, dove volete che vada? Magari tornerà a Basilea, magari si riavvicinerà alle banche svizzere, dove ha messo al sicuro il suo patrimonio».
C’è una squadra con la quale Xherdan ha quasi sempre fatto il suo: la Svizzera.
«È vero, ma stiamo parlando di una situazione particolare. Nel gruppo rossocrociato Shaqiri è un simbolo, uno degli uomini più importanti, e ha la certezza di giocare. Forse più tranquillo, anche perché aspettato, pungolato, motivato da Petkovic, riesce a dare il meglio di sé e a muoversi con sufficiente continuità. Si devono fare i complimenti a Vlado per la gestione di un elemento che ha bisogno di attenzioni».
Qualcosa che non accade in un club.
«Il mister di turno non perde troppo tempo con un calciatore che in una rosa importante è solo uno dei tanti. Ci prova, lo spinge, ma dopo qualche mese lo mette da parte puntando su uno degli altri. Sta al giocatore guadagnarsi le luci della ribalta. Sta al giocatore meritarsi una carriera importante».