Gerry Gerosa e la sua immensa carriera, fra Trapattoni, U21 svizzera e Basilea: «Mourinho? Ci snobbò alla grande».
Il 54enne ha collaborato anche con Irlanda, Red Bull Salisburgo, Spartak Mosca e AEK Atene in qualità di analista delle squadre avversarie.
LUGANO - Per potersi esprimere al meglio, un allenatore di calcio moderno necessita di collaboratori competenti attorno a sé, anche se il loro operato resta spesso nell'ombra. Ci sono per esempio gli assistenti, i coach dei portieri, i massaggiatori, gli osservatori o gli analisti delle formazioni avversarie. Un vero e proprio staff specializzato insomma, il cui contributo risulta molto prezioso per ogni tecnico.
Nel calcio di oggi il "gap" fra le varie squadre, soprattutto europee, si è infatti assottigliato notevolmente e le partite si vincono di conseguenza per dei piccoli dettagli. Per questo motivo in un gruppo è necessario analizzare minuziosamente ogni situazione, creando la giusta armonia anche fra i personaggi che lavorano dietro le quinte. È il caso del ticinese Jean-Pierre "Gerry" Gerosa, che vanta una carriera quasi ventennale in qualità di analista degli avversari.
Gerry, come funziona questo lavoro?
«Effettivamente è un ruolo abbastanza sconosciuto per la maggior parte delle persone. Per poter iniziare è fondamentale conoscere il proprio allenatore e la sua filosofia di gioco, poiché ognuno ha le sue particolarità. Bisogna capire fino a che punto si riesce a far penetrare la propria idea e cosa eventualmente si può consigliare per poter affrontare un avversario. Poi è necessario conoscere la propria squadra tatticamente, caratterialmente e mentalmente, soprattutto i giovani. Così, appena si ha il quadro completo, si possono analizzare gli avversari e cercare di prendere le relative contromisure andando a "sbirciare" i loro schemi di gioco, ma anche sentire la sensazione dello stadio e del pubblico. Sono tutti elementi importanti da non sottovalutare. Il mio scopo è sempre stato quello di trovare il punto debole per mettere in difficoltà i nostri rivali».
Il 54enne ticinese ha iniziato nel 2006 insieme a Giovanni Trapattoni nel Red Bull Salisburgo, per poi seguirlo due anni dopo in seno alla nazionale irlandese. E con il "Trap" ha accumulato moltissima esperienza.
«Trapattoni è stato il mio mentore calcistico e con lui ho imparato davvero tanto. Siamo diventati amici, discutevamo sempre di tattica, mi metteva alla prova e alla fine mi ha voluto con sé a Salisburgo, dopo che proprio il sottoscritto l'ha messo in contatto - tramite amici - con i vertici della società austriaca. Ho avuto la fortuna di vivere una situazione esaltante e ho dunque deciso di lasciare la panchina del Taverne (Seconda Lega) per iniziare questa nuova avventura. Inizialmente non è stato semplice vedere ogni situazione con gli occhi del Trap, ma in seguito mi sono immerso completamente in questa realtà e alla fine siamo anche riusciti a vincere il campionato (2007) e a giocarci le qualificazioni per la Champions League. Terminata l'esperienza austriaca il Trap ha firmato per la nazionale irlandese e mi ha voluto con sé come osservatore, in uno staff che comprendeva anche personaggi del calibro di Liam Brady e Marco Tardelli. In quel momento si è accentuato un po' il mio ruolo e per questo mi ritengo davvero fortunato».
Gerosa ha poi proseguito la sua carriera al Basilea dove è stato dal 2010 al 2017, continuando parallelamente la collaborazione con Trapattoni, culminata con la partecipazione agli Europei nel 2012 in Polonia e Ucraina.
«Considerato che con le nazionali si lavora soltanto quando i campionati sono fermi e quindi saltuariamente, sono stato contattato dal Basilea per occuparmi degli avversari che i renani avrebbero affrontato in Europa. Nel periodo al St. Jakob Park ho visto passare in totale cinque allenatori, Thorsten Fink, Heiko Vogel, Murat Yakin, Paulo Sousa e Urs Fischer. Ogni volta che cambiava il coach avevo il compito di spiegare i relativi retroscena riguardanti il gruppo, che inizialmente conoscevo meglio di loro. È stata un'esperienza fantastica: abbiamo vinto tanto a livello nazionale, giocato costantemente la Champions League e anche raggiunto una semifinale di Europa League, prevalendo contro avversari del calibro di Bayern Monaco, Manchester United e Chelsea. La mia avventura è finita appena è cambiato completamente l'organigramma della società. Mi avevano chiesto di restare ma ormai era terminato un ciclo».
Quando avete battuto il Chelsea, c'era José Mourinho in panchina?
«Sì, c'era proprio lui e quella volta ci snobbò alla grande. Avevo infatti analizzato la formazione dei Blues che avremmo dovuto affrontare ed è stata la prima volta che ho sbagliato la bellezza di sei titolari. In quell'occasione Mourinho ci ha proprio sottovalutato, schierando una squadra sulla carta molto più debole rispetto alla rosa che aveva a disposizione. Mi sono anche innervosito, non avrei mai pensato che si sarebbe comportato in quel modo, anche perché non eravamo gli ultimi arrivati. In ogni caso abbiamo vinto ed è stato comunque emozionante».
Finita questa esperienza il ticinese ha accettato la corte di Massimo Carrera per seguirlo prima allo Spartak Mosca (2016-2018) e poi all'AEK Atene (2019), dopodiché si è accordato con la Under 21 allenata da Mauro Lustrinelli (2019-2020).
«Con Carrera ho svolto insieme il corso di allenatore a Coverciano (2009) e siamo rimasti in contatto. Nel biennio in Russia ci siamo tolti le nostre soddisfazioni, vincendo il campionato e disputando la Champions l'anno seguente. Finita questa avventura l'ho seguito anche in Grecia, ma l'esperienza non è durata molto. Nello stesso tempo Adrian Knup - ex vicepresidente del Basilea - ha preso insieme a Lustrinelli la Under 21 elvetica e mi sono aggregato a loro fino alla qualificazione agli Europei del 2021. Quest'ultima vicenda è stata la più complicata sia per gli spostamenti - visto che non si giocava mai nelle Capitali, ma nelle città più piccole - sia perché non esistono molti video delle partite delle squadre della U21. Bisognava quindi filmare sul posto e trovare dei punti strategici per non farsi notare. La difficoltà stava anche nel fatto che sia i nostri giocatori sia quelli avversari cambiavano spesso e non c'erano di conseguenza dei veri e propri punti di riferimento come nelle esperienze precedenti».
Dopo aver vinto nove campionati (sette svizzeri, uno austriaco e uno russo) non vorresti provare ad arrivare in doppia cifra? Quali sono i tuoi progetti per il futuro?
«Per me le vittorie sono altre. Poter lavorare in ogni momento con tutti gli allenatori con cui ho collaborato è certamente il mio successo più grande, perché significa che ho lasciato un buon ricordo. Carrera mi ha chiesto di raggiungerlo a Bari, visto che è diventato l'allenatore dei pugliesi. Dall'Europa League con l'AEK Atene alla Serie C italiana è un po' come tornare al campetto di Cassarate. Cosa c'è di più bello? Il calcio è sempre il calcio».
Raccontaci un aneddoto su un allenatore...
«Ne ho davvero molti, ma quante litigate con Urs Fischer per il suo sistema di gioco. Era arrivato a Basilea all'ultimo momento al posto di Paulo Sousa ed era solito schierare le proprie squadre con il modulo 4-2-3-1. È stato complicato fargli capire che, soprattutto in campo internazionale, bisognava essere "flessibili" sul sistema di gioco da adottare a dipendenza degli avversari che si affrontano. La svolta è però arrivata dopo un paio di mesi in seguito al successo maturato in Europa League contro la Fiorentina. Sono andato a vedere i Viola contro il Torino e con il mio telefonino ho filmato alcuni momenti. Il Toro schierava tre difensori e la Fiorentina non riusciva a costruire le azioni. Così nella relazione che ho redatto a Fischer ho spiegato come si sono difesi i granata, enfatizzando molto la situazione e inserendo dei messaggi subliminali in cui ho sottolineato diverse volte che, per vincere, avremmo dovuto giocare in quel modo. A quel punto si è posto delle domande, ma ha accettato la mia idea, facendomi però capire che se avessimo perso sarebbe stata colpa mia. Avevo una grande pressione addosso, anche perché dopo pochi minuti abbiamo subito incassato lo 0-1. Fortunatamente siamo stati in grado di girare il match giocando bene. Da quel momento Fischer ha valutato anche altri moduli di gioco e il nostro rapporto ne ha beneficiato».
Gerry non possiamo finire questa intervista senza dire due parole su Giovanni Trapattoni, anche qui avrai più di un aneddoto da raccontare vero?
«Eravamo con la Nazionale Irlandese e dovevamo giocare gli spareggi per andare all’Europeo in Polonia e Ucraina, quando dall'urna esce come avversario la più che abbordabile Estonia. Durante la conferenza stampa il Trap, visto l’entusiasmo dei media e dei tifosi che si sentivano già la qualificazione in tasca, pronunciò le storiche parole in un inglese maccheronico: "Don't say Cat if is not in the Sac (Non dire gatto se non ce l’hai nel sacco)", poiché bisognava ancora scendere in campo due volte. Al termine del match d'andata in Estonia, l’Irlanda vinse 4-0 e durante la conferenza stampa post-partita, i giornalisti in coro hanno scherzato: "Trap. The Cat is in the Sac (Il gatto è nel sacco)". Lui si gira, mi guarda e dopo un minuto di silenzio esclama: "Yes, il gatto è nel sacco, ma Il sacco non è ancora chiuso". Perché comunque c’era ancora la partita di ritorno in Irlanda(...)».