Campionati sul Golfo, sola andata? «Quel mezzo secondo…»
Arno Rossini: «Haris ha messo in conto che Yakin non lo chiamerà più».
RIAD - Un Eldorado. Questo sono i Paesi del Golfo per quei calciatori che hanno ancora davanti a loro qualche anno di carriera.
Le ultime settimane sono ricche di storie di professionisti trentenni, o qualcosa del genere, che hanno barattato la competitività dei campionati europei e lo scintillio delle relative coppe per il tintinnio dei soldi arabi. L'obiettivo, per chi ha ricevuto la chiamata, è rapidamente cambiato. Non è più il successo in una delle leghe più prestigiose del Vecchio continente o in Champions League, bensì l'ingrassamento del conto corrente.
«Davanti a certe cifre, davanti ai tanti zeri che si leggono sui giornali, davvero non mi sento di biasimare i calciatori che decidono di partire - è intervenuto Arno Rossini - Con quegli stipendi, impossibili in Europa, si possono sistemare intere generazioni della famiglia».
Un calciatore che sale sull'aereo per raggiungere l’Arabia o gli Emirati Arabi può pensare di avere ancora una carriera internazionale?
«È estremamente difficile. Non so quanti di quelli che hanno deciso, o decideranno, di andare in quei campionati continueranno ad avere la possibilità di vestire la maglia della loro nazionale. Un Ronaldo lo fa perché è un simbolo. Forse Brozovic e Milinkovic-Savic lo faranno perché Croazia e Serbia hanno gruppi coesi. Gli altri…».
Seferovic?
«Ha fatto una scelta. Ha lasciato un campionato di ottimo livello per andare a giocare negli Emirati Arabi Uniti. Alla sua età, è un classe ‘92, ha probabilmente messo in conto il fatto che Murat Yakin non lo chiamerà più».
È una grande rinuncia.
«La convocazione è sempre prestigiosa. A questo punto della sua vita, però, Haris ha messo davanti a tutto l’aspetto economico. Ha cominciato a considerare il calcio come un semplice gioco e quindi deciso di monetizzare gli ultimissimi anni di attività».
Quel che vorremmo capire è se dalle prigioni dorate si può evadere. Se dopo una stagione un ragazzo si rendesse conto che quell’avventura non fa per lui?
«E volesse tornare in Europa? Farebbe molta fatica. Nei mesi spesi lontano dal calcio “vero”, un professionista perde infatti molto».
Ma, in fondo, a livello fisico sono seguitissimi anche a quelle latitudini…
«È vero, ma allenamenti e partite non sono… allenanti. Il ritmo è basso e ti abitui a fare la giocata impiegando mezzo secondo in più. Se poi torni in Europa, quel mezzo secondo ti pesa però tantissimo. Ti rende inadatto. Oltre a ciò si deve poi tenere conto delle motivazioni: hai perso qualcosa a livello di velocità e... ti sei arricchito a dismisura. Credo che a quel punto la tua “rabbia agonistica” non sia più quella originale, che i ventenni di turno siano semplicemente più affamati e disposti al sacrificio».
Quelle mediorientali sono al momento leghe per vecchi?
«No, questa definizione non è del tutto corretta: qualche giocatore con ancora qualche anno buono di carriera davanti ha infatti deciso di partire. Credo inoltre che nel tempo quei campionati possano crescere molto».
Quando il livello potrà essere considerato buono?
«Quando anche i calciatori in rampa di lancio inizieranno ad accettare le offerte: a quel punto la competitività europea non sarà più lontanissima».