Arno Rossini: «Riva aveva una forza eccezionale e non spendeva ore in palestra»
«In tanti anni, un tiro così potente l’ho visto solo a Roberto Carlos».
CAGLIARI - “Il più grande di tutti”. “Il più forte di tutti”. “Il più uomo di tutti”. Come raramente accade, Gigi Riva ha messo d’accordo… tutti. E non si tratta del solito gentile rispetto che si concede a un defunto. In campo e fuori, feroce e timido, il campione italiano si è guadagnato una stima unanime. E con affetto unanime, in tutto il mondo, è stato salutato.
«La notizia della sua scomparsa mi ha molto rattristato - ha raccontato Arno Rossini - Rombo di tuono è davvero stato un calciatore e un uomo eccezionale, di quelli che si incrociano raramente».
Partiamo dal campo. Usava solo un piede, si è ritirato presto, è stato bravo in un periodo nel quale di bravi ce n’erano molti...
«Ma lui era speciale. Ho letto che tanti, anche illustri, lo hanno definito il più forte giocatore italiano di sempre. Io sono in difficoltà nel fare classifiche del genere, non mi riesce dire chi è stato il migliore in assoluto. Ma tra i migliori Riva c’era sicuramente».
Nonostante le imperfezioni.
«L’ho visto giocare, da giovane ho ammirato le sue gesta… era unico. Aveva una forza fisica eccezionale in un periodo nel quale, a differenza di quanto accade ora, gli atleti non spendevano ore in palestra. La sua era una forza… naturale. Era una forza della natura, insomma. E poi era agilissimo. Potenza e agilità. E coraggio. Unite queste tre componenti e avrete un calciatore incredibile. Non si segna d’altronde così tanto se non si hanno delle qualità».
Il fiuto del gol…
«Sì, certo. E un sinistro devastante. In tanti anni, un tiro così potente l’ho visto solo a un altro giocatore: Roberto Carlos. Riva era però più preciso. E, in più, si è esibito in un’epoca nella quale i palloni erano dei sassi. Se ti prendevano ti lasciavano il segno. Con i palloni attuali avrebbe spaccato la porta».
Il Gigi Riva uomo?
«È partito praticamente da qui, è nato a pochi chilometri dal confine, ma ha scritto la storia in Sardegna, trascinando il Cagliari a un incredibile scudetto e rifiutando i miliardi offerti da Juve, Milan e Inter. Una storia del genere è di quelle che valgono la pena essere raccontate».
È vero che ha rifiutato le big, ma faceva pur sempre il calciatore - ed era quindi privilegiato - in un posto che era molto simile a un angolo di paradiso.
«Ma rimanere non era per nulla scontato. In quanti avrebbero declinato un’offerta economicamente vantaggiosa? Rimanendo è invece diventato un simbolo per tutta una regione, per delle persone con le quali ha poi scelto di condividere tutta la vita».
Era però un altro calcio.
«È vero, non per forza migliore, ma diverso da quello attuale. Si dice sempre che le bandiere non esistono più. È giusto. Ma non è colpa solo dei giocatori. Una volta i presidenti rincorrevano le vittorie o il prestigio. Oggi provano invece anche a guadagnare. Ciò significa che davanti a un’offerta ricca, sono loro stessi a prendere il calciatore in questione e a portarlo di corsa al nuovo club».