«Ho il cancro. Quando l’ho saputo mi sono detto: “Ok, non è una buona notizia”»
L’allenatore ha un cancro alla prostata: «Posso gestirlo, l’ho fatto anche al Mondiale».
AMSTERDAM - Non occupa una panchina ma è comunque presissimo. Oggi Louis Van Gaal è impegnato a curarsi: sta cercando di guarire dall’aggressivo tumore alla prostata che lo ha colpito.
L’ex tecnico ha parlato della sua situazione nel documentario “Siempre positivo”, nel quale ha chiacchierato con la dottoressa Maria Blasco, direttrice del Centro Nazionale di Ricerca sul Cancro spagnolo.
Il 72enne ha raccontato di essere malato da tempo ma di guardare con ottimismo al futuro. «Quando ho saputo del cancro mi sono detto: “OK, non è una buona notizia, ma è meglio che provi a fare qualcosa” - ha spiegato l’ex mister di, tra le tante, Ajax, Barcellona, Bayern Monaco e Manchester United - Convivo con la malattia da poco più di tre anni e la mia quotidianità è fatta di radiazioni, iniezioni di ormoni, operazioni, cateteri e sacche di urina. Riesco a gestire tutto quanto, anche se sembra incredibile. E l’ho fatto anche durante il Mondiale in Qatar. Anzi in quel caso è stato anche più semplice perché avevo un obiettivo. È come quando alleni: cerchi un obiettivo e fai il massimo per raggiungerlo. Per me è stato positivo affrontare entrambe le cose. Quando mi hanno chiamato per guidare l’Olanda ero già stato operato e avevo fatto 25 sedute di radioterapia, oltre alle iniezioni ormonali. Sono stato coraggioso? No, solo deciso a portare avanti una vita normale. Il mio team mi ha supportato, come la federazione, e così tutto è stato possibile. Per non creare problemi ai ragazzi, per permettere loro di rimanere concentrati sulle partite, durante la manifestazione ho evitato di parlare della mia situazione. Come ho gestito la cosa? Nel pomeriggio i calciatori erano liberi e io ne approfittavo per dormire il più possibile. Le riunioni tecniche erano portate avanti dai miei assistenti e, infine, le cure le facevo di notte, quando nessuno poteva vedermi. Il cancro non mi ha comunque cambiato molto la vita. Questo forse perché ero il più piccolo di nove figli. Mio padre è morto a 53 anni, quando io ne avevo solo 11 anni, la mia prima moglie è mancata a 39 anni… e tutti i miei fratelli sono scomparsi troppo presto. Sono insomma abituato alla morte e so che fa parte della vita e in qualche modo si può affrontarla».